Il caso
La vicenda del piccolo Loris ha sconvolto l'Italia
La vicenda del piccolo Loris Andrea Stival è una delle pagine più dolorose e discusse della cronaca nera italiana degli ultimi anni, non solo per la tragedia di un bambino di otto anni ucciso in un contesto familiare, ma anche per la lunga e complessa sequenza di indagini, processi e narrazioni che hanno accompagnato il caso.
Tutto iniziò la mattina del 29 novembre 2014, a Santa Croce Camerina, un piccolo centro in provincia di Ragusa. Veronica Panarello, madre di Loris, si recò dai carabinieri per denunciare la scomparsa del figlio. Disse che, come ogni giorno, lo aveva accompagnato a scuola, ma che non lo aveva trovato al termine delle lezioni. Secondo la sua prima versione, il bambino si era allontanato in circostanze ignote. Le ricerche si attivarono immediatamente, con l’impiego di volontari, forze dell’ordine e protezione civile.
Nel pomeriggio, la tragedia si manifestò in tutta la sua gravità: il corpo di Lorys venne rinvenuto in un canalone vicino a un antico edificio conosciuto come il Mulino Vecchio, a poca distanza dal paese. La scena appariva drammatica e compatibile con un’azione violenta. La zona fu messa sotto sequestro per consentire i rilievi della scientifica.
La piccola bara bianca
L’autopsia, disposta dalla Procura e condotta nei giorni immediatamente successivi, stabilì che il bambino era morto per strangolamento. Sul collo erano presenti segni lineari e profonde ecchimosi, compatibili con l’uso di fascette in plastica o di un laccio simile. Erano state riscontrate anche lesioni secondarie, che avvaloravano l’ipotesi di un’aggressione fisica. Gli esami medico-legali indicarono che il decesso era avvenuto nelle ore del mattino, in un intervallo di tempo ben preciso, compatibile con l’orario in cui la madre sosteneva di averlo lasciato a scuola.
Le prime settimane di indagine furono caratterizzate da un lavoro minuzioso di raccolta di testimonianze, esame di telecamere di sorveglianza, analisi di tabulati telefonici e verifica dei movimenti delle persone coinvolte. Progressivamente, le attenzioni degli inquirenti si concentrarono proprio su Veronica Panarello. I motivi di questo spostamento investigativo furono diversi: le incongruenze tra le prime dichiarazioni e gli elementi oggettivi, l’assenza di prove che Loris fosse effettivamente entrato a scuola quella mattina, e alcune evidenze tecniche raccolte nell’abitazione e nell’auto di famiglia.
La ricostruzione degli orari, basata su dati oggettivi come i tracciamenti GPS e i filmati di alcune telecamere, suggeriva che il bambino non era mai stato accompagnato all’istituto scolastico. Ciò contraddiceva in maniera diretta la versione iniziale fornita dalla madre. Nei mesi seguenti, le indagini produssero un quadro accusatorio preciso: secondo l’ipotesi della Procura, Veronica Panarello avrebbe strangolato il figlio in casa, utilizzando delle fascette di plastica, e successivamente avrebbe trasportato il corpo nel canalone per occultarlo.
Il processo si aprì nel 2016 con la scelta, da parte dell’imputata, del rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica. Questa strategia processuale permetteva una riduzione della pena in caso di condanna, ma comportava anche il giudizio basato principalmente sugli atti già raccolti. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa, esaminati i risultati delle indagini e le conclusioni degli esperti, condannò Veronica Panarello a trent’anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere.
La madre di Loris Stival lascia la Procura di Ragusa in stato di arresto
La sentenza fu impugnata e il procedimento passò alla Corte d’assise d’appello di Catania, che confermò integralmente la decisione di primo grado. Nel frattempo, la posizione processuale dell’imputata si complicò ulteriormente a causa delle sue dichiarazioni: nel corso del tempo, Panarello aveva cambiato più volte versione dei fatti. In una fase successiva, accusò il suocero, Andrea Stival, di essere il vero assassino e di aver avuto con lei una relazione segreta. Il suocero respinse fermamente ogni accusa e presentò querela per calunnia.
Il 21 novembre 2019 la Corte di Cassazione mise la parola fine all’iter processuale principale, confermando in via definitiva la condanna a trenta’anni di reclusione. Per le accuse rivolte al suocero, ritenute false e diffamatorie, Veronica Panarello fu poi condannata anche in un procedimento separato per calunnia e diffamazione.
Il caso ebbe un enorme impatto mediatico. Televisione, giornali e piattaforme digitali seguirono ogni sviluppo, spesso mescolando elementi accertati in aula a ipotesi o ricostruzioni narrative. Numerosi documentari e trasmissioni di approfondimento si occuparono della vicenda, a volte proponendo tesi alternative, altre volte ripercorrendo fedelmente il contenuto delle sentenze. Questa esposizione continua contribuì a mantenere vivo il dibattito pubblico, ma al tempo stesso creò un flusso di informazioni nel quale non sempre era chiara la distinzione tra fatti provati e mere supposizioni.
Sul piano strettamente giudiziario, resta fermo il dato che la responsabilità dell’omicidio di Loris Andrea Stival è stata attribuita in maniera definitiva alla madre, secondo quanto stabilito da tre gradi di giudizio. Le sentenze — in particolare le motivazioni depositate a seguito delle decisioni di primo e secondo grado — contengono una ricostruzione coerente con le prove acquisite: la sequenza temporale della mattina del 29 novembre 2014, le tracce rinvenute e le testimonianze convergono verso un’unica versione ritenuta attendibile dai giudici.
Dal punto di vista sociale, il delitto di Santa Croce Camerina ha rappresentato un momento di forte shock collettivo. La giovane età della vittima, il contesto familiare apparentemente ordinario e l’assenza di segnali premonitori per l’opinione pubblica hanno amplificato l’indignazione e lo sgomento. La vicenda ha anche acceso discussioni più ampie sul ruolo dei media nei casi di cronaca nera, sulla gestione delle indagini in situazioni familiari complesse e sul rapporto tra verità processuale e percezione pubblica.
Oggi, a distanza di anni, il nome di Loris rimane legato a una storia tragica in cui la giustizia ha stabilito con chiarezza responsabilità e dinamica dei fatti, ma che continua a essere oggetto di discussione e memoria collettiva, proprio per la sua capacità di toccare corde profonde della sensibilità comune. La sequenza di bugie, cambi di versione e accuse reciproche che hanno scandito il caso ha reso la sua narrazione complessa e controversa, ma il nucleo giudiziario — la condanna definitiva a trent’anni di Veronica Panarello per l’omicidio del figlio — rimane un punto fermo che nessuna revisione processuale, fino a oggi, ha messo in discussione.
Folla ai funerali del piccolo Loris
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