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Mostro di Modena, quarant'anni dopo un serial killer ancora senza nome: stasera 2 agosto il documentario. La storia e le dieci vittime

Appuntamento imperdibile per gli appassionati di cronaca e verità irrisolte

Giovanni Ramiri

02 Agosto 2025, 11:44

Mostro di Modena, quarant'anni dopo un serial killer ancora senza nome: stasera 2 agosto il documentario. La storia e le dieci vittime

Stasera lo speciale sul Nove

Sabato 2 agosto 2025, alle 21:30, il canale Nove propone un appuntamento imperdibile per gli appassionati di cronaca e verità irrisolte: il documentario inedito «Il Mostro di Modena», presentato come un’inchiesta rigorosa, che riapre il sipario su una serie di omicidi dimenticati ma mai risolti. La trasmissione, realizzata con testimonianze esclusive e materiale d’archivio restaurato, si propone non solo di raccontare i fatti, ma di interrogare la coscienza pubblica su ciò che fu (o non fu) fatto per fermare il presunto assassino.

Tra le pieghe oscure della cronaca nera italiana, pochi casi irrisolti riescono a conservare un’aura di inquietudine tanto intensa quanto quella del cosiddetto “Mostro di Modena”. Non è solo una storia di omicidi. È un insieme di silenzi, errori investigativi, fragilità sociali e vite marginali spezzate in un territorio apparentemente tranquillo. A distanza di oltre trent’anni, non esiste un volto, un nome né una verità condivisa. Eppure, quel nome – “mostro” – continua a pesare sulle coscienze di chi ha vissuto quegli anni, sulle famiglie delle vittime e su una città intera, la cui memoria collettiva è ancora segnata da questi eventi.

Tutto comincia il 21 agosto 1985, nelle campagne di Baggiovara. Il corpo di Giovanna Marchetti, una giovane di appena 19 anni, viene trovato con la testa fracassata. La scena è brutale, ma l’impressione iniziale è che possa trattarsi di un singolo caso isolato, magari legato a un contesto di degrado o tossicodipendenza. Nessuno, in quel momento, immagina che sarà la prima di una lunga scia di morte. Negli anni successivi, altre donne – in gran parte prostitute o tossicodipendenti – vengono uccise con modalità diverse ma con un filo rosso che inizia a delinearsi: brutalità, solitudine, assenza di testimoni, e sempre un contesto di marginalità sociale.

Donatella Guerra, Marina Balboni, Claudia Santachiara, Fabiana Zuccarini, Antonietta Sottosanti, Anna Abbruzzese, Annamaria Palermo, Monica Abate. I loro nomi emergono dai faldoni giudiziari come voci di un racconto corale interrotto. Nessuna di loro ha ottenuto giustizia. Ogni caso, trattato singolarmente dalle procure e dalle forze dell’ordine, è stato archiviato o trascinato nel vuoto investigativo. I legami, le somiglianze, i dettagli inquietanti – come la posizione dei corpi, le tecniche di strangolamento, o la scelta dei luoghi appartati – vennero notati soprattutto dai cronisti locali, tra i quali Pier Luigi Salinaro, che per primo ipotizzò l’esistenza di un killer seriale.

L’etichetta “mostro” cominciò a circolare nei media locali tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, accostando per la prima volta una serie di femminicidi che, altrimenti, sarebbero forse rimasti incasellati come tragiche fatalità isolate. Ma mentre la stampa sollevava interrogativi, le autorità non intrapresero mai un’indagine unificata su un possibile serial killer attivo nella zona. Le prove venivano raccolte e archiviate in dossier separati, gestiti da commissariati diversi, senza un coordinamento. A volte, persino senza confronti balistici o confronti su tracce biologiche.

Uno degli aspetti più drammatici della vicenda riguarda proprio la negligenza istituzionale. Le donne uccise erano spesso percepite come “vittime minori”: tossicodipendenti, senza fissa dimora, emarginate. Per anni questa discriminazione ha rallentato ogni tentativo di fare luce sui delitti. L’attenzione mediatica fu altalenante, e le indagini, per lungo tempo, restarono bloccate da mancanze strutturali e pregiudizi radicati. Molte famiglie delle vittime denunciarono, già allora, la sensazione di essere state abbandonate dallo Stato.

Nel tempo, i sospetti si sono moltiplicati. Alcuni investigatori ipotizzarono che dietro al “mostro” potesse non esserci un singolo individuo, ma piuttosto un gruppo o una rete di uomini violenti, forse legati ad ambienti di droga, di sfruttamento della prostituzione o persino a figure insospettabili della buona società modenese. Ma nessuna pista concreta portò a un processo. Con l’arrivo del nuovo millennio, i casi vennero dimenticati dall’opinione pubblica, mentre i dossier prendevano polvere negli archivi giudiziari.

Negli ultimi anni, però, qualcosa ha cominciato a muoversi. Le famiglie di alcune delle vittime, come quella di Annamaria Palermo, hanno chiesto ufficialmente la riapertura dei fascicoli, sostenute da criminologi, giornalisti investigativi e nuove tecnologie forensi. In particolare, grazie a campioni biologici ancora conservati, si potrebbe oggi tentare l’analisi del DNA per isolare eventuali profili compatibili. Alcuni elementi emersi nei casi più recenti – come quello di Monica Abate nel 1995 – hanno suggerito la presenza di tracce di sangue e pelle estranee alla vittima, che all’epoca non furono analizzate in modo approfondito.

Nel giugno 2025, proprio mentre il caso tornava sotto i riflettori grazie a nuove trasmissioni televisive e inchieste giornalistiche, è partita una petizione popolare per ottenere la riapertura formale delle indagini. La città di Modena è tornata a interrogarsi sul proprio passato, chiedendosi come sia stato possibile che otto o forse più donne potessero essere uccise, per oltre dieci anni, senza che nessuno fosse mai fermato.

Oggi il “Mostro di Modena” resta una figura senza volto. Forse è morto. Forse è ancora in vita. Forse non è mai stato uno solo. Quel che è certo è che la sua ombra continua ad allungarsi sul presente. In un tempo in cui si parla sempre più di giustizia per le vittime dimenticate, la storia modenese rappresenta una ferita ancora aperta, che chiede risposte non solo per fare luce su chi ha ucciso, ma anche per capire chi ha taciuto, chi ha voltato lo sguardo, chi ha considerato alcune vite meno degne di essere difese. È lì che il mostro, ancora oggi, si nasconde.

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