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L'omicidio

Delitto di Garlasco, il "movente mai provato" e tutti gli altri dubbi. Ecco perché Alberto Stasi è un "caso paradigmatico di ragionevole dubbio"

Il giudice Stefano Vitelli, che lo assolse, è tornato a parlare del delitto di Garlasco a Ore 14 Sera

Giovanni Ramiri

12 Settembre 2025, 10:55

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Alberto Stasi in auto con l'avvocato Giada Bocellari

“Un caso paradigmatico di ragionevole dubbio. E’ ragionevole dubitare che sia stato davvero lui. Alberto Stasi è stato l’imputato di un processo indiziario, particolarmente ed eccezionalmente complesso, difficile, peculiare e per certi versi irripetibile. La difficoltà obiettiva e la specificità a mio avviso è una ragione in più che alimenta il fuoco del ragionevole dubbio. Dal punto di vista umano? Non è stato protagonista. Era un processo con rito abbreviato, non è stato interrogato, era un imputato molto attento, che seguiva diligentemente le udienze, prendeva tanti appunti. Mi ricordo un leggero imbarazzo e fastidio in alcuni momenti, come quando venivano mostrate sullo schermo in udienza le immagini di pornografia adulta che aveva nel computer. Per il resto è stato sempre molto controllato e molto attento”.

Stefano Vitelli, il giudice che assolse Alberto Stasi, è tornato a parlare del delitto di Garlasco a Ore 14 Sera. Lo ha fatto con una lunga intervista in cui ha raccontato il suo punto di vista sulle indagini sul delitto di Garlasco, uno dei più complessi e discussi della storia giudiziaria italiana rispondendo alle domande del conduttore Milo Infante e dell’inviata Arianna Giunti.

L'intervista al giudice Vitelli

Un altro momento di tensione è quando veniva fatta riascoltare la telefonata al 118. “Anche in quel caso aveva un po’ di fastidio – risponde il giudice - Perché veniva ripetuta diverse volte per analizzarla da vari punti di vista, come tempistica e contenuti. Era un po’ infastidito. Per il resto è sempre stato molto attento a quello che veniva fatto”.

Giusto dare così tanta importanza a una telefonata? “Si entra in un campo veramente minato. Sia per quanto riguarda il contenuto, che la tempistica, tenga presente che la caserma era molto vicina, può essere interpretato come un segno di anomala freddezza, ma allo stesso tempo come un soggetto che di fronte a un evento drammatico, scioccante, con sangue dappertutto, la fidanzata verosimilmente uccisa, abbia avuto una grande paura e una volta al sicuro, vicino alla caserma, chiama il 118. Siamo di fronte alla reazione ad eventi peculiari per cui diventa difficile costruirsi una base solida su cui fondare un indizio. Al limite si tratta più di un sospetto investigativo.

Come definire le indagini successive al delitto? “Avevano delle criticità – conferma Vitelli - pensiamo intanto al computer in cui seppur in buona fede il contenuto informatico era stato sporcato da accessi abusivi dei carabinieri. Possono però capitare lacune ed errori, specie in un processo così peculiare. Teniamo presente che i carabinieri che sono andati all’inizio in casa hanno pensato che fosse un incidente domestico. Forse l’approccio iniziale non è stato dei più conservativi. Vedo anche in questo oltre all’oggettiva difficoltà del caso, vedo una ragione in più per dire “in dubbio pro reo”, attenzione ci sono delle incertezze acuite anche da queste lacune e deficienze istruttorie e questo non può andare a scapito dell’imputato”.

Milo Infante

“Il movente non l’ha convinta. Quanto ha pesato nella sua decisione?”, chiede Infante. “Il movente non è stato mai provato – la risposta - Ci siamo molto concentrati in primo grado sulla questione di un possibile forte litigio serale, legato al fatto che Chiara avrebbe potuto vedere nel pc di Alberto immagini pornografiche e che avrebbe scatenato un litigio forte che poi avrebbe avuto una coda breve nella mattina successiva. Dico breve perché poi nella mattinata successiva c’è tutta la questione della tempistica molto ridotta di 23 minuti. Vede come il movente ha delle ripercussioni, di criticità, di spiegazione anche della tempistica dell’omicidio rispetto alla verifica dell’alibi informatico. I periti, d’accordo anche i consulenti tecnici di parte, hanno accertato che Chiara non ha visto sicuramente immagini e video pedopornografiche, sicuramente video di pornografia adulta, e molto probabilmente neppure immagini di pornografia adulta. Peraltro quando Stasi rientra dopo aver sistemato il cane, quello doveva essere secondo l’accusa un possibile momento in cui Chiara avrebbe frugato nel computer di Stasi approfittando della sua assenza, quando rientra si rimette a lavorare alla tesi”.

Quando due fidanzati litigano è difficile che non ci sia nemmeno un messaggio durante la notte. “Sono d’accordo – riflette il giudice - e lo scrissi anche in sentenza. Tutto può accadere nelle dinamiche umane e di coppia, si può anche litigare ferocemente e non volere avere nessun tipo di chiarimento, ma il movente va provato. Ci vogliono degli indici che ti portano a dire che hanno effettivamente litigato. Se ci fossero stati messaggi o chiamate sarebbe stata una spia del possibile movente. Invece lì tutto tace, fino allo squillo delle 9.46. Stasi dice che è uscito dall’abitazione, ha visto che Chiara chiamava il gatto in casa e per lui questa è stata l’ultima volta che ha visto Chiara viva. E non abbiamo elementi dal punto di vista del movente che smentiscano questa sua versione”.

Arriva anche una domanda dallo studio: “La difesa di Stasi nel chiedere l’abbreviato voleva l’assoluzione. Perché non l’ho assolto subito?”. Perché era un omicidio. Perché era un caso talmente grave per cui non me la sentivo di assolvere subito. Era necessario utilizzare i poteri che la legge mi conferiva, in sede di abbreviato, per approfondire multidirezionale. Gli approfondimenti che sono stati fatti. Ma vediamo se effettivamente queste criticità potevano essere superate, a favore dell’accusa o della difesa. L’esempio più eclatante è proprio l’alibi informatico: ho chiesto al perito se riuscivamo a capire in maniera davvero attendibile se quando Stasi che ha lavorato alla tesi, al netto degli errori nell’indagine, dice il vero confermando il suo alibi, o ha detto il falso? L’ingegnere mi disse di sì, che pulendo sarebbe riuscito a capire, e se avesse detto il falso un alibi falso sarebbe stato un indizio pesante a carico di Stasi. L’approfondimento poteva portare a spostare la bilancia verso l’ipotesi accusatoria”.

La puntata di venerdì 11 settembre

C’è poi la questione della camminata, chiosa l’inviata. “La questione della camminata è abbastanza complessa – argomenta Vitelli - Sicuramente le nostre conclusioni di primo grado furono che Stasi non poteva non calpestare diverse macchie ematiche, il problema è se dovesse necessariamente esservi traccia sulle suole o in altro modo. Lì avevamo sia il dato esperienziale, molto importante: due carabinieri che entrano subito dopo Stasi e che fanno due volte e mezzo lo stesso tragitto di Stasi, pensando si trattasse di un incidente domestico, le scarpe a livello macroscopico erano pulite. Questo significa che Stasi ha detto il vero, ma è uno dei tasselli rispetto a questo indizio che pone il dubbio se sia o no entrato. Stasi dice che il corpo di Chiara era in fondo alle scale: ma chi lo getta, secondo l’analisi del sangue fatta dai Ris, a metà delle scale. E lo scivolamento non sarebbe stato immediato, ma avrebbe implicato un certo lasso temporale. Vede come ci colleghiamo ai 23 minuti? Se lui ha fatto tutto in fretta e in furia, e non è più entrato, ti aspetteresti che ti descriva il corpo non alla fine delle scale, ma all’inizio o a metà”.

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