In tv
Roberta Petrelluzzi
Un giorno in pretura torna questa sera, domenica 7 settembre, nella sua collocazione classica della seconda serata di Rai 3 (ore 23). È un rientro che non ha il sapore della routine televisiva, ma quello di un vero e proprio rito collettivo. Ogni volta che il programma ricomincia, non si accende solo una trasmissione: si riapre una finestra su quel mondo fragile e implacabile che è l’aula di tribunale, dove il destino degli uomini si decide tra prove, arringhe e silenzi carichi di significato.
La nuova stagione si apre con un processo emblematico, quello legato alla morte di Speranza Ponti, la donna scomparsa da Alghero nel dicembre del 2019 e ritrovata senza vita un mese dopo. La sua vicenda non è solo un fatto di cronaca nera, ma un dramma umano che racchiude fragilità, relazioni spezzate, sospetti e ombre. Questa sera, la corte di Sassari diventa il palcoscenico in cui le parole dei giudici, degli avvocati e dei testimoni cercheranno di restituire un senso, di spiegare l’inspiegabile. Un giorno in pretura ancora una volta accompagna il pubblico non con il clamore, ma con la pazienza della narrazione giudiziaria, offrendo un racconto che procede al ritmo della giustizia stessa, senza semplificazioni né sconti.
Speranza Ponti con Massimiliano Farci
La forza del programma, sin dalle origini, è sempre stata quella di mostrare la realtà senza filtri, permettendo agli spettatori di vivere dall’interno i meccanismi della macchina giudiziaria. Quando nacque nel 1985, 40 anni fa, l’idea era quasi rivoluzionaria: portare in televisione i piccoli processi delle preture, le “giustizie minori” che raccontavano furti, litigi di condominio, truffe quotidiane. Sembravano storie marginali, eppure in quelle aule si specchiava un’Italia reale, fatta di miserie, passioni e contraddizioni.
Con il tempo, però, il programma si è trasformato. Ha cominciato a seguire i grandi processi, quelli che hanno segnato la storia recente del Paese: i maxiprocessi di mafia, Tangentopoli, i delitti che hanno scosso l’opinione pubblica, i casi che hanno diviso famiglie e città. Un giorno in pretura ha avuto il coraggio di essere lì, di documentare con rispetto ma anche con rigore, e così è diventato un archivio vivente della nostra società. Ogni puntata non era solo televisione: era memoria.
A rendere tutto questo possibile c’è sempre stata la presenza discreta e autorevole di Roberta Petrelluzzi, che ha guidato il programma con la stessa fermezza e sobrietà fin dal primo giorno. La sua voce, riconoscibile e misurata, è diventata parte integrante dell’esperienza dello spettatore: mai invadente, mai sensazionalistica, sempre attenta a dare centralità al processo e non alla spettacolarizzazione. In un panorama televisivo spesso dominato dal rumore e dall’enfasi, la scelta di Petrelluzzi di non urlare mai, ma raccontare con serietà è stata la chiave della longevità e della credibilità del format.
Negli anni Duemila, il programma ha attraversato un’evoluzione ulteriore. Non si è limitato ai grandi casi giudiziari, ma ha accompagnato i telespettatori attraverso vicende che hanno segnato la coscienza civile del Paese: l’omicidio di Marta Russo, il caso di Erba, la morte di Stefano Cucchi, lo scandalo Calciopoli. Ogni volta, il tribunale non era solo un luogo di giustizia, ma anche uno specchio dell’Italia e delle sue contraddizioni. Un giorno in pretura ha così mostrato come il processo non sia mai soltanto la storia di un imputato e di una vittima, ma la rappresentazione di un’intera società, con le sue fragilità, le sue paure e i suoi conflitti irrisolti.
Stasera, con la puntata intitolata “Il vizio del lupo”, il programma riprende il filo della sua storia in modo fedele ma anche rinnovato. L’impianto resta quello di sempre, ma con una regia più agile e una narrazione attenta ai tempi della televisione contemporanea. La sostanza, però, non cambia: restituire al pubblico la verità del processo, con la sua drammaticità e la sua lentezza, con le parole che pesano e i gesti che tradiscono emozioni.
È proprio questa fedeltà alla realtà che rende Un giorno in pretura unico nel panorama televisivo italiano. Non si tratta di cronaca fredda, ma nemmeno di spettacolo: è una forma rara di televisione civile, capace di educare senza pretendere di insegnare, di coinvolgere senza manipolare, di far riflettere senza semplificare. Nel corso dei decenni, milioni di spettatori hanno imparato ad ascoltare le voci delle aule di giustizia grazie a questo programma, e molti di loro hanno scoperto in quel racconto il lato umano della giurisprudenza, fatto non solo di codici e articoli di legge, ma di persone in carne e ossa.
Il ritorno di questa sera, dunque, non è soltanto l’inizio di una nuova stagione televisiva. È il ritorno di una voce che accompagna l’Italia da quasi quarant’anni, una voce che ha visto cambiare il Paese, i suoi scandali, i suoi drammi e i suoi tentativi di riscatto. Un giorno in pretura è diventato parte della nostra cultura, perché non racconta solo la giustizia, ma il modo in cui una comunità intera si confronta con il concetto stesso di verità.
E mentre stasera le telecamere si accenderanno nuovamente sulle aule di tribunale, si riaccenderà anche la consapevolezza che quel racconto non è mai solo televisione. È un viaggio dentro l’anima di un Paese, un viaggio fatto di dolore, di ricerca, di memoria. Un giorno in pretura non appartiene più soltanto a Rai 3 o ai suoi autori: appartiene a tutti coloro che credono che la giustizia non sia solo una parola, ma una storia da vivere e da comprendere insieme.
Roberta Petrelluzzi
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy