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Il personaggio

Franco Califano, storia del Califfo: un uomo diventato mito. Le 1.200 donne, la malattia, il messaggio scritto prima della morte

Una figura difficilmente imitabile. Non solo per il talento, ma per l'autenticità feroce con cui ha vissuto ogni cosa

Giovanni Ramiri

04 Agosto 2025, 20:39

Franco Califano, storia del Califfo: un uomo diventato mito. Le 1.200 donne, la malattia, il messaggio scritto prima della morte

Franco Califano è morto nel 2013

Franco Califano è stato un artista che ha incarnato come pochi altri il mito dell’uomo libero, ma anche quello dell’uomo tormentato. Il Califfo è nato il 14 settembre 1938 a Tripoli, allora colonia italiana, fu figlio di un ufficiale dell'Aeronautica Militare. Cresciuto tra Roma e la Campania, portò con sé per tutta la vita l’identità meticcia di chi non appartiene mai a un luogo solo. Ed è forse per questo che nelle sue canzoni non c'è mai un solo punto di vista: convivono il romano scanzonato e il poeta malinconico, l’amante spavaldo e il bambino ferito.

La sua carriera musicale inizia nell’ombra, come autore per altri. E che autore: Califano è stato la penna dietro alcuni dei brani più intensi e sofisticati del pop italiano. Suo è il testo di Minuetto, portato al successo da Mia Martini nel 1973, canzone costruita su una melodia difficile di Dario Baldan Bembo, ma che lui riuscì a vestire con una narrazione di grande verità emotiva. Scrisse anche La musica è finita, interpretata da Ornella Vanoni, in cui la malinconia di un amore svanito viene distillata con una lucidità tagliente. E poi ci sono brani più leggeri, apparentemente, come E la chiamano estate (in collaborazione con Bruno Martino), che pure nascondono una sensibilità profonda.

Ma il Califano interprete esplode negli anni '70, diventando il cantore di una Roma notturna, sensuale e senza ipocrisie. La sua voce graffiata, il modo di recitare quasi più che cantare, i testi che sembravano confessioni sussurrate dopo un bicchiere di troppo, creano un’identità inconfondibile. Tutto il resto è noia è molto più di una canzone: è un manifesto. Un uomo che dichiara, senza scusarsi, che l'amore – o meglio, il desiderio – ha delle regole non scritte, fatte di slanci e di cadute, di attimi intensi e inevitabili noie. La sua poetica non voleva essere elegante: voleva essere vera.

Il Califfo assieme a Paolo Bonolis

Il successo fu ampio, ma sempre accompagnato da una certa diffidenza da parte della critica ufficiale, che non sapeva come incasellarlo. Troppo diretto per essere lirico, troppo popolare per essere colto, troppo colto per essere solo popolare. In realtà, Califano era un vero intellettuale di strada. Parlava di carcere, di solitudine, di sesso, di fallimenti, ma lo faceva in modo che anche chi non aveva studiato potesse capirlo. E forse anche per questo era amato da così tanti.

Il carcere lo conobbe davvero. Nel 1984 venne arrestato con l’accusa di detenzione di armi e droga, insieme al cantautore Enrico Maria Papes. La vicenda, dalla quale fu poi completamente assolto, lo segnò profondamente. Disse in un'intervista: “Io sono entrato pulito e sono uscito sporco. Perché quando esci dal carcere non sei più lo stesso, anche se non hai fatto nulla.” Da allora, quella sfiducia nei confronti dello Stato, delle istituzioni, si è fatta più esplicita nei suoi testi e nelle sue dichiarazioni pubbliche.

La sua fama di seduttore incallito non è leggenda urbana. Lui stesso ha sempre ostentato il numero delle sue conquiste: oltre 1.200, diceva, tra attrici, modelle, donne comuni e fan. Era un uomo del suo tempo, cresciuto in un’Italia in cui la virilità si misurava anche così. Ma va detto che, dietro la maschera dell’uomo che “non si innamora mai”, si intravedeva una fragilità profonda. L’amore lo ha sempre cercato, e forse non lo ha mai trovato davvero. Molte delle sue canzoni più toccanti – La mia libertà, Un tempo piccolo, Io non piango – sono proprio riflessioni sull'impossibilità di condividere fino in fondo la propria vita con qualcuno.

Califano è anche stato un autore teatrale e scrittore. I suoi libri autobiografici, come Senza manette e Il cuore nel sesso, sono un ibrido tra diario e romanzo di formazione, dove la narrazione della sua vita si fa letteratura, ma senza perdere mai il tono schietto che lo contraddistingueva. Anche nel teatro, dove si cimentò in monologhi e spettacoli intimi, mostrò una padronanza del linguaggio e una capacità di affabulazione che non avevano nulla da invidiare agli attori professionisti.

Negli ultimi anni della sua vita, nonostante i problemi di salute e le difficoltà economiche, non smise mai di esibirsi. Fece tournée in tutta Italia, anche nei piccoli teatri, nei centri culturali di provincia, spesso accettando cachet minimi pur di salire sul palco. Non era solo una questione di soldi: era una necessità vitale. Diceva che il pubblico gli dava l’unica forma di amore che non deludeva. Anche quando aveva bisogno dell’ossigeno dopo ogni canzone, continuava a regalare emozione, battute, canzoni, vita.

Il 30 marzo 2013, Califano si è spento a Roma, nella sua casa di Acilia. La morte è arrivata dopo una lunga malattia polmonare, ma in modo quasi dolce, come un epilogo già scritto. Fino all’ultimo ha rifiutato la retorica della sofferenza. “Non piangete quando morirò. Sorridete, ho vissuto” è la frase che volle come epitaffio, ed è forse la sintesi perfetta della sua parabola esistenziale. Non ha mai chiesto scuse, né perdono, né comprensione. Ha chiesto solo di essere ascoltato. Con la voce roca, i vestiti sgualciti, gli occhi furbi di chi ha visto tutto e non si scandalizza più.

Messaggio al funerale di Franco Califano

Franco Califano resta una figura difficilmente imitabile. Non solo per il talento, ma per l'autenticità feroce con cui ha vissuto ogni cosa: la fama, l’amore, il dolore, la disillusione. Oggi molti lo ricordano con nostalgia, ma anche con rispetto. Perché in un mondo in cui tutto è diventato posa, Califano era reale. Imperfetto, a volte sgradevole, ma profondamente vero. E questo, in arte, vale più di mille premi.

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