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La storia

Roberto Calvi, uno dei grandi misteri italiani. Dopo 43 anni la fine del banchiere di dio è ancora avvolta nel mistero

Il 18 giugno 1982 fu trovato morto a Londra, impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, Blackfriars Bridge

Giovanni Ramiri

28 Luglio 2025, 20:27

Roberto Calvi, uno dei grandi misteri italiani. Dopo 43 anni la fine del banchiere di dio è ancora avvolta nel mistero

Roberto Calvi, nato a Milano nel 1920, divenne una delle figure più enigmatiche della finanza italiana del secondo dopoguerra. La sua ascesa al vertice del Banco Ambrosiano coincise con un periodo di grande trasformazione, in cui i confini tra economia, politica e religione si facevano sempre più sfumati. Il suo legame con l’Istituto per le Opere di Religione, la cosiddetta Banca Vaticana, fu più che un semplice rapporto professionale: fu l’inizio di una rete di relazioni opache e multilivello, in cui il denaro si muoveva tra conti cifrati, paradisi fiscali e società offshore dislocate tra Lussemburgo, Panama e le Bahamas.

In quegli anni, il Banco Ambrosiano divenne uno snodo cruciale per operazioni finanziarie di dubbia trasparenza, sostenute da una rete di protezione che includeva settori della politica italiana, alti ambienti vaticani e – come le inchieste avrebbero poi dimostrato – anche la loggia massonica P2. Licio Gelli, il suo gran maestro, era l’emblema di un potere parallelo che intrecciava massoneria, intelligence e affari. Calvi ne fece parte, ed è proprio in quel contesto che iniziò a muoversi come “banchiere di fiducia” non solo del Vaticano, ma anche di soggetti meno visibili e decisamente più pericolosi.

Già alla fine degli anni Settanta, alcuni ispettori della Banca d’Italia – fra cui Mario Sarcinelli – denunciarono irregolarità macroscopiche nelle operazioni dell’Ambrosiano. L’inchiesta non solo rivelò una gestione spregiudicata, ma mise in luce un sistema basato sul riciclaggio di denaro e su un’intricata rete di prestanome e società fittizie. Calvi, consapevole della posta in gioco, cercò in ogni modo di tenere insieme il fragile castello finanziario. Utilizzò leve politiche, alleanze religiose e, secondo testimonianze successive, anche i canali della criminalità organizzata per evitare il collasso. Le tangenti che avrebbe versato per proteggere la banca, insieme a una campagna diffamatoria ordita da ambienti ostili guidati da Michele Sindona, contribuirono a un clima sempre più instabile.

Nel maggio del 1981 fu arrestato per esportazione illecita di capitali. Uscì dal carcere pochi mesi dopo, ma il sistema iniziò a sgretolarsi. Il crac del Banco Ambrosiano, che esplose l’anno successivo, lasciò un buco di oltre un miliardo di dollari. Fu a quel punto che Calvi si sentì braccato. La sua rete di protezione si stava dissolvendo. Scrisse lettere accorate al Papa, sostenendo di aver agito sempre su mandato del Vaticano, e avvertì che se fosse caduto lui, sarebbero caduti molti altri.

Il 18 giugno 1982 fu trovato morto a Londra, impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, Blackfriars Bridge. Il corpo penzolava con le mani legate, delle pietre nelle tasche e un passaporto falso in tasca, intestato a un fantomatico “Gian Roberto Calvini”. Le autorità inglesi, inizialmente, parlarono di suicidio. Ma le prove forensi, tra cui la posizione del corpo, l’assenza di lesioni compatibili con l’impiccagione e alcuni segni sospetti, fecero ben presto vacillare questa tesi. L’ipotesi dell’omicidio travestito da suicidio prese corpo, ma le indagini si rivelarono da subito ostacolate da una fitta rete di depistaggi, silenzi e testimonianze reticenti.

Negli anni successivi emersero dettagli che alimentarono la teoria di un’esecuzione pianificata. Calvi, secondo alcuni, stava per parlare. Altri sostengono che avesse perso il controllo su fondi gestiti per conto della mafia, che in lui vedeva un debitore inaffidabile. Altri ancora puntarono il dito contro la P2 e settori deviati dei servizi segreti italiani e internazionali. Una cosa è certa: chi lo proteggeva fino a poco tempo prima, decise improvvisamente di abbandonarlo. O, come sostengono alcuni magistrati, di eliminarlo.

Nel 2005 si aprì un processo che vide imputati diversi personaggi legati alla vicenda, tra cui Flavio Carboni, imprenditore e intermediario, e Pippo Calò, ritenuto il cassiere di Cosa Nostra. Ma nel 2010 tutti furono assolti per insufficienza di prove. La sentenza lasciò l’amaro in bocca a chi cercava giustizia, ma sancì anche quanto fosse difficile ricostruire la verità dentro un groviglio di complicità silenziose, documenti scomparsi e connessioni che toccavano i piani più alti del potere.

A più di quarant’anni dalla morte, Roberto Calvi, il banchiere di dio, resta una figura tragica e irrisolta. Non solo per il mistero che avvolge la sua fine, ma per ciò che rappresenta: l’Italia delle trame oscure, dei poteri paralleli, della finanza spregiudicata che si nutre di segreti e silenzi. La sua storia è uno specchio deformante di un Paese che, ancora oggi, fatica a guardare in faccia i suoi fantasmi.

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