Una pagina nera
Via d'Amelio sventratata dopo l'attentato
Il 19 luglio 1992, alle 16:58:20, una Fiat 126 imbottita con oltre 90 kg di esplosivo saltò in aria in via d’Amelio a Palermo al passaggio del magistrato Paolo Borsellino. Con lui persero la vita i cinque agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, gravemente ferito.
La strage avvenne soltanto 57 giorni dopo l’attentato di Capaci, in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta. I due attentati, ravvicinati nel tempo e per brutalità, segnarono il culmine della strategia stragista di Cosa Nostra.
Nel caso di via D’Amelio, emersero presto gravi dubbi sulla sicurezza della zona: nessun blocco del traffico, nessun presidio fisso e assenza di telecamere. Nonostante Borsellino si recasse regolarmente a trovare la madre, e fosse considerato un obiettivo ad altissimo rischio, non fu mai attuata una reale protezione della strada, facilmente accessibile. Col tempo, queste omissioni sono diventate elemento centrale nei sospetti di depistaggi e negligenze istituzionali.
Cinque giorni dopo si tennero i funerali. La famiglia di Borsellino rifiutò le esequie di Stato, accusando lo Stato stesso di non aver protetto il giudice. L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto:
«Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi.»
Le prime indagini si basarono su dichiarazioni false del falso pentito Vincenzo Scarantino, che confessò una versione dei fatti rivelatasi successivamente completamente inventata. Il processo si concluse nel 1996 con diverse condanne all’ergastolo, ma su basi poi riconosciute come infondate.
A partire dal 1998, il processo "Borsellino ter" segnò una svolta: furono ascoltati pentiti affidabili come Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Gioacchino La Barbera, e si ricostruì l’organigramma mafioso dietro la strage. Tra i condannati all’ergastolo:
Salvatore Madonia
Giuseppe Calò
Benedetto Santapaola
Raffaele Ganci
Bernardo Provenzano
Giuseppe Farinella
Salvatore Buscemi
Altri collaboratori, come Brusca e La Barbera, ottennero pene ridotte per la collaborazione. La Cassazione nel 2008 rese definitive le condanne.
Nel 2023 è giunta la condanna definitiva per Matteo Messina Denaro, come mandante delle stragi del '92, confermando il legame diretto tra vertici mafiosi e attentati.
Una delle pagine più oscure riguarda il depistaggio delle indagini. Per anni si tentò di far passare versioni false, alimentate da pentiti costruiti ad arte. Agenti e funzionari dello Stato sono stati accusati e talvolta condannati per aver alterato prove, sviato le indagini e coperto mandanti occulti.
Via D’Amelio non era un obiettivo difficile da proteggere, eppure nessuna misura eccezionale fu presa. Questo alimentò dubbi sul fatto che l’attentato potesse essere “tollerato” o agevolato da chi, nelle istituzioni, avrebbe dovuto proteggere il magistrato.
Nel tempo, è cresciuta la richiesta di desecretare tutti i documenti relativi a quei giorni e di accertare fino in fondo il ruolo dei cosiddetti “mandanti esterni”.
La morte di Paolo Borsellino e della sua scorta segnò uno spartiacque storico. L’indignazione popolare, il dolore collettivo e la consapevolezza dell’isolamento dei magistrati spinsero lo Stato a rafforzare la legislazione antimafia, come il carcere duro (41-bis) e la confisca dei beni mafiosi.
Da quel momento, nacquero movimenti civili, iniziative scolastiche e una coscienza collettiva contro la cultura mafiosa. Migliaia di giovani, in questi 33 anni, hanno trovato in Borsellino e Falcone un esempio morale e civile.
Tuttavia, resta un debito di verità: mancano ancora risposte su complicità istituzionali, su silenzi colpevoli, su documenti spariti, come la famosa “agenda rossa” che Borsellino portava sempre con sé e che scomparve subito dopo l’attentato.
Le frasi pronunciate da Paolo Borsellino prima della sua morte sono diventate simboli di coraggio e integrità:
«È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.»
«Ci danno le auto blindate solo di mattina. Così di sera possiamo essere uccisi.»
«La gente fa il tifo per noi… dobbiamo pagare il debito verso di loro facendo il nostro dovere… dimostrando che Falcone è vivo!»
La strage di via D’Amelio, 33 anni dopo, non è solo un fatto di sangue: è un simbolo ancora vivo della lotta fra lo Stato e la mafia, fra la verità e il silenzio. Le condanne definitive ai boss e il riconoscimento dei depistaggi non bastano a colmare il vuoto lasciato da Paolo Borsellino.
L’Italia cambiò radicalmente, ma solo continuando a cercare la verità, a ogni costo, e educando le nuove generazioni alla legalità, potrà rendere davvero onore al sacrificio di chi morì per lo Stato, senza che lo Stato lo difendesse.
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