L'analisi
Gelato a Milano
C’è stato un tempo, non così lontano, in cui un bambino poteva entrare in una gelateria con una moneta da 1.000 lire e uscirne soddisfatto, le mani appiccicose e il cuore colmo di felicità per un cono con due gusti. All’epoca, alla fine degli anni ’90, il gelato era ancora una dolcezza semplice e accessibile: 500 lire per una coppetta piccola, 800 per un Fior di Fragola, 1 000 per un Cremino o un cono artigianale piccolo. Bastava una manciata di monete, e il pomeriggio era salvo.
Poi è arrivato l’euro. Con la sua conversione brusca e implacabile – 1 € per 1 936,27 lire – i prezzi si sono trasformati non solo nella forma ma anche nella sostanza. Quello stesso cono, che nel 2000 costava 1 000 lire, ovvero circa 0,52 euro, oggi si paga in media 2,70 euro. È un aumento di oltre 400%, una cifra che racconta molto più di una semplice inflazione: è la misura di un cambiamento profondo nel modo in cui viviamo e consumiamo.
Da allora il gelato non ha mai smesso di rincarare. Se all’inizio degli anni Duemila un cono artigianale costava meno di un euro, oggi è raro trovarne uno sotto i 2,50. E nelle zone turistiche o nei centri storici, il prezzo può salire fino a 5 €. Le vaschette da asporto sono diventate un lusso da oltre 20 € al chilo, e anche i gelati confezionati hanno seguito la stessa traiettoria: meno quantità, più costo. Il celebre stecco Magnum, ad esempio, ha perso peso ma non prezzo: da 86 a 70 grammi, mentre il costo è salito ben oltre il semplice adeguamento all’inflazione.
Ma cosa è successo nel frattempo? A incidere non è solo l’euro, ormai storia vecchia. Negli ultimi cinque anni, complice l’inflazione post-pandemia e le crisi energetiche, i costi delle materie prime sono cresciuti vertiginosamente: latte, uova, zucchero, cacao, nocciole… ogni ingrediente è diventato più caro da produrre e trasportare. Anche l’energia necessaria per conservare il gelato, che deve rimanere a basse temperature dalla fabbrica alla vetrina, ha subito rincari notevoli. E così, senza che ce ne accorgessimo, il cono gelato ha iniziato a pesare di più sul portafoglio.
A questo si è aggiunta una trasformazione dell’immaginario. Il gelato artigianale non è più solo una merenda: è diventato un’esperienza, un prodotto gourmet, una coccola da concedersi. Le gelaterie propongono gusti ricercati, ingredienti Dop, mantecature espressive. Il cono piccolo non è più “piccolo”: è “premium”, e si paga come tale.
In tutto questo, il consumatore ha seguito l’onda, forse con un po’ di rassegnazione e un pizzico di nostalgia. Ogni estate, sotto il sole rovente, continua a entrare in gelateria sapendo che, anche se il prezzo è quadruplicato, quel gusto di pistacchio – magari con granella di Bronte – vale ancora la pena.
Così, a distanza di 25 anni, il gelato racconta molto più di un semplice aumento di prezzo. Racconta un Paese che è cambiato, che ha imparato a convivere con l’euro, con l’inflazione, con un mondo più caro e più complesso. Ma racconta anche che certe cose – come il sorriso di un bambino con il gelato in mano – restano, per fortuna, immutate. Anche se oggi costano un po’ di più.
*Iscrivendoti alla newsletter dichiari di aver letto e accettato le nostre Privacy Policy