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Il personaggio

Mia Martini, una musicista meravigliosa: il vero nome, la crudeltà delle malelingue, la consacrazione e il mistero sulla morte

Il tempo non ha fatto sbiadire il suo ricordo: continua a vivere nelle voci di chi la interpreta

Giovanni Ramiri

11 Agosto 2025, 20:29

Mia Martini, una musicista meravigliosa: il vero nome, la crudeltà delle malelingue, la consacrazione e il mistero sulla morte

Mia Martini

Era il 20 settembre 1947 quando a Bagnara Calabra, tra il profumo di salsedine e il rumore del mare che sbatteva contro gli scogli, nacque Domenica Rita Adriana Bertè. Una bambina dagli occhi intensi, curiosi e malinconici insieme, cresciuta in una famiglia in cui la cultura e la musica erano compagne quotidiane. Il padre, insegnante e preside, e la madre, maestra, trasmisero a lei e alle sorelle Loredana, Olivia e Leda l’amore per le parole, i suoni, l’arte.

Fin da giovanissima, la piccola Mimì – come la chiamavano in famiglia – mostrava un dono raro: una voce che non era soltanto bella, ma capace di trasportare chi l’ascoltava in un’altra dimensione. Cantava nelle feste, nelle riunioni di paese, nei locali della sua terra, e ogni nota era già un frammento di quella storia che, col tempo, sarebbe diventata leggenda.

La nascita di Mia Martini

La carriera cominciò con il nome Mimì Bertè, negli anni Sessanta, in piena epoca yé-yé. Ma la vera trasformazione avvenne nel 1971, quando il produttore Alberigo Crocetta le suggerì un nome nuovo: Mia Martini. “Mia” per l’eleganza e la grazia di Mia Farrow, “Martini” per un richiamo internazionale, immediato, incisivo. Fu una rinascita artistica.

Il primo album con il nuovo nome, Oltre la collina, non era un lavoro qualsiasi: era un’opera d’autore, coraggiosa, che affrontava la solitudine, la spiritualità, i nodi dell’anima. Non passò inosservato, ma fu il 1972 a cambiarle la vita, con Piccolo uomo, canzone intensa che le regalò il primo Disco d’Oro e un posto di rilievo nel panorama musicale italiano.

Negli anni seguenti arrivarono brani che sarebbero diventati classici: Minuetto, con un’interpretazione struggente; Donna sola, Inno, Che vuoi che sia se t’ho aspettato tanto. La sua voce, capace di vibrare e spezzarsi nello stesso respiro, divenne un marchio di autenticità.

La ferita delle malelingue

Ma il successo non bastò a proteggerla. Per una banale inimicizia nel mondo dello spettacolo, prese piede una voce infondata e crudele: che Mia Martini portasse “sfortuna”. Un’etichetta assurda, eppure tanto potente da chiuderle porte, cancellare contratti, allontanare collaboratori. Era il 1983 quando, stanca e ferita, decise di ritirarsi dalle scene. Fu un periodo di silenzio e di dolore, vissuto lontano dai riflettori, in una solitudine che lei non aveva mai cercato.

Mia Martini in cucina

Il ritorno e la consacrazione

Il 1982, poco prima della pausa forzata, le aveva già regalato un segnale importante: al Festival di Sanremo interpretò E non finisce mica il cielo e vinse il Premio della Critica. Un riconoscimento che, dopo la sua morte, sarebbe stato intitolato proprio a lei.

Ma il vero trionfo del ritorno arrivò nel 1989: Almeno tu nell’universo. La sua voce, più matura e ferita, trasmetteva una profondità che solo chi ha attraversato la tempesta può conoscere. Quel brano la riportò tra i grandi, e con esso arrivarono altri successi: La nevicata del ’56, Gli uomini non cambiano, Cu’ mme in duetto con Roberto Murolo, e Stiamo come stiamo, cantata con la sorella Loredana in una delle apparizioni più intense e simboliche della loro carriera.

Rappresentò l’Italia anche all’Eurovision Song Contest, due volte: nel 1977 e nel 1992, portando il suo carisma e il suo timbro unico su un palco internazionale.

Il mistero della fine

Il 12 maggio 1995 il silenzio cadde improvviso. Mia Martini fu trovata senza vita nel suo appartamento di Cardano al Campo, a soli 47 anni. L’autopsia parlò di arresto cardiaco, ma i dettagli suscitarono dubbi e interpretazioni diverse. Alcuni parlarono di un abuso di farmaci, altri di una crisi legata a problemi di salute. La sua famiglia, in particolare Loredana, rifiutò sempre l’ipotesi di un gesto volontario.

Quel giorno, l’Italia perse una delle voci più grandi e autentiche della sua storia musicale. Ma come spesso accade con gli artisti veri, la morte non spense il suo canto.

Eredità di un’anima fragile

Oggi Mia Martini è ricordata non solo per le canzoni, ma per ciò che rappresentava: la purezza di un’emozione cantata senza filtri, la fragilità che diventa forza, il dolore trasformato in arte. Ogni sua interpretazione sembra parlare direttamente al cuore di chi ascolta, senza bisogno di traduzioni.

Il tempo non ha fatto sbiadire il suo ricordo: continua a vivere nelle voci di chi la interpreta, negli occhi lucidi di chi la ricorda, e nelle note che ancora oggi sanno accendere quella scintilla che solo lei sapeva creare.

Mia Martini non è stata soltanto una cantante. È stata una confessione in musica, un’anima che ha cantato l’amore, la solitudine, l’attesa, con la verità di chi non ha mai avuto paura di mostrarsi nuda davanti alla vita.

Mia Martini al Maurizio Costanzo Show

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