L'approfondimento
Smartphone e giovani: quale rapporto?
Scrollano, guardano, reagiscono, si confrontano. Per milioni di adolescenti europei, l’esperienza quotidiana con i social media è diventata centrale nella costruzione della propria identità. Ma quanto incide tutto questo sul loro equilibrio mentale?
Una risposta concreta arriva da un ampio studio pubblicato a marzo 2025 dal Joint Research Centre della Commissione Europea. Il rapporto, basato su un campione di oltre 40.000 ragazzi tra i 13 e i 16 anni in tutta l’Unione, ha messo nero su bianco un dato allarmante: tra coloro che passano più di tre ore al giorno sui social media, oltre la metà presenta sintomi di ansia o depressione.
Il dato si fa ancora più pesante se si guarda al genere. Le ragazze risultano più esposte, più coinvolte emotivamente, più soggette a dinamiche di confronto tossico. In molte segnalano disturbi del sonno, umore instabile, calo dell’autostima.
Gli esperti parlano di un vero e proprio “uso problematico” dei social. Non si tratta semplicemente di quanto tempo si resta connessi, ma del modo in cui si interagisce con i contenuti: guardare passivamente, senza partecipare, espone a maggiore isolamento e solitudine. Questo pattern, secondo l’OMS e lo stesso JRC, sta crescendo in tutta Europa, con picchi nei Paesi ad alto tasso di digitalizzazione giovanile come Italia, Spagna e Francia.
Il 96% dei quindicenni europei utilizza social media ogni giorno. Il 37% supera le tre ore quotidiane. E per molti di loro, l’esperienza non è affatto neutra. Le piattaforme sono progettate per mantenere l’attenzione e spingere al consumo continuo. Ma i ragazzi – con un cervello ancora in formazione e una fragilità emotiva accentuata – spesso finiscono per subirne l’impatto senza strumenti critici adeguati.
Il rapporto dell’UE propone anche delle soluzioni. Tra queste: potenziare l’educazione digitale nelle scuole, coinvolgere le famiglie in una gestione più consapevole dell’uso online, e spingere le piattaforme a introdurre strumenti di autoregolazione. Ma serve soprattutto un cambio di paradigma: non è più solo un problema di "tempo sullo schermo", bensì di qualità dell’interazione, percezione del sé e cura della propria salute mentale.
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