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La storia

Jannik Sinner, Marco Pantani, Valentino Rossi e Alberto Tomba: tutte le volte che l'Italia è impazzita per uno sportivo dimenticando il calcio

C’è un fremito particolare che attraversa l’Italia quando un atleta riesce a far dimenticare, anche solo per un momento, il dominio assoluto del pallone

Giovanni Ramiri

15 Luglio 2025, 13:13

Jannik Sinner, Marco Pantani, Valentino Rossi e Alberto Tomba: tutte le volte che l'Italia è impazzita per uno sportivo che ha fatto dimenticare il calcio

Marco Pantani in maglia rosa

C’è un fremito particolare che attraversa l’Italia quando un atleta riesce a far dimenticare, anche solo per un momento, il dominio assoluto del pallone. È una vibrazione collettiva, emotiva, viscerale, che travalica la tecnica e si insinua nell’immaginario popolare, trasformando uno sportivo in simbolo, eroe, mito. È accaduto poche volte, ma quando è successo, l’Italia ha riscoperto se stessa.

Lo si è visto nei mesi recenti, quando Jannik Sinner, ragazzo altoatesino con il viso gentile e la forza mentale di un veterano, ha riscritto la grammatica del tennis italiano. Le sue vittorie non sono solo cronaca sportiva: sono eventi che si respirano nei bar la mattina, si commentano nei supermercati, si gridano nei salotti con lo stesso pathos riservato alle finali mondiali. In un Paese che ha sempre amato il tennis da lontano, con rispetto più che con passione, Sinner è riuscito in ciò che sembrava impossibile: trasformare una racchetta in uno stendardo nazionale.

Ma prima di lui, l’Italia aveva già conosciuto quel brivido. Lo aveva vissuto sul sellino di una bici, aggrappata alla ruota di Marco Pantani, che saliva le montagne come se inseguisse i fantasmi della propria anima. Il Pirata era troppo fragile per il mondo che lo circondava, ma proprio in quella fragilità risiedeva la sua grandezza. Ogni volta che scattava in salita, l’Italia sentiva che non si trattava solo di ciclismo: era un grido, una rivincita, un gesto poetico in mezzo all’asfalto ruvido. E quando Pantani è caduto, non solo nel senso sportivo, il Paese ha pianto con una commozione che si riserva solo agli amori veri.

Poi c’è chi ha acceso i motori dell’immaginario collettivo. Valentino Rossi non ha soltanto vinto tutto ciò che si poteva vincere: ha rivoluzionato il motociclismo, trasformandolo in spettacolo, rito, follia gioiosa. Con il suo numero 46 e la sua Yamaha gialla, ha portato la MotoGP nei bar, nelle scuole, nelle piazze, diventando qualcosa di più di un pilota: un’icona generazionale. Ogni sorpasso, ogni esultanza clownesca, ogni rivalità con Biaggi o Marquez era una puntata di una saga che milioni di italiani seguivano con lo stesso fervore con cui un tempo si guardavano i film di Bud Spencer.

Ma se c’è stato un precursore di tutto questo, un pioniere dell’euforia sportiva al di fuori del calcio, è stato Alberto Tomba. “Tomba la Bomba”, l’uomo che ha reso lo sci popolare anche a chi non aveva mai visto la neve. Scendeva dalle piste con una potenza sfrontata, quasi arrogante, e si portava dietro un’aura da star del cinema. Le sue gare paralizzavano il Paese. La gente smetteva di lavorare per vederlo sciare. Tomba era l’Italia anni ’80 e ’90: edonista, esuberante, vincente. Piaceva a tutti, anche a chi non capiva nulla di slalom.

In fondo, ogni volta che l’Italia si innamora di uno sportivo “diverso”, lo fa per le stesse ragioni per cui ama un cantautore o un attore: per il modo in cui riesce a raccontare il tempo che stiamo vivendo. Non importa se si tratta di neve, motori, pedali o palline gialle. Quello che conta è il senso di appartenenza, la sensazione che quel ragazzo o quella ragazza, in quel preciso momento, stia facendo qualcosa di straordinario anche per noi.

Perché quando un campione riesce a scalzare per un attimo il calcio dal trono emotivo degli italiani, non è solo una vittoria personale. È una festa nazionale.

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