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Il caso

Chiara Poggi, il mistero dell'impronta numero 10 e il dna ignoto: può essere la svolta per le nuove indagini sull'omicidio di Garlasco

Accanto a questa impronta, sul muro della scala, si fa luce sull’impronta 33, attribuita secondo nuovi accertamenti ad Andrea Sempio

Giovanni Ramiri

23 Giugno 2025, 18:14

Chiara Poggi

Chiara Poggi

Nel cuore della rinnovata inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco emerge un elemento che sta riscrivendo le coordinate della vicenda: l’impronta numero 10. Scoperta sulla porta interna del tinello, questa traccia palmare – definita dagli esperti una “mano sporca” – non era stata indagata per identificare eventuali tracce biologiche nel corso delle analisi originali e potrebbe contenere un Dna ignoto che ora la difesa di Alberto Stasi punta ad approfondire. Accanto a questa impronta, sul muro della scala, si fa luce sull’impronta 33, attribuita secondo nuovi accertamenti ad Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, grazie a una corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche.

Il legale di Stasi, l’avvocato Antonio De Rensis, ha sollevato l’importanza cruciale di queste tracce ignorate o mal valutate, sostenendo che le tecnologie attuali potrebbero evidenziare tracce di sangue sopravvissute sotto la reazione alla ninidrina, specialmente sull’impronta 33 – dove la colorazione rossastra sarebbe indicativa di materiale organico. Se fosse dimostrata la presenza di sangue, scienziati e avvocati affermano che l’esito potrebbe modificare radicalmente la ricostruzione del fatto.

Non solo impronte digitali: la difesa ha portato in luce anche un’impronta femminile di scarpa, di taglia 36/37, rinvenuta in cima alla scala che conduce alla cantina dove è stato ritrovato il cadavere della giovane. Quel frammento, catalogato dai RIS nel 2007 ma mai valorizzato, viene ora considerato un possibile indizio rimasto per anni sotto traccia, capace di suggerire la presenza di un’altra persona nella casa al momento del delitto.

Un altro elemento analizzato solo di recente riguarda le impronte rilevate sul dispenser del sapone del bagno: fotografie del 2007 mostrano almeno sette contatti papillari parziali, sovrapposti in parte a quelli attribuiti a Stasi. Secondo una perizia, il RIS avrebbe focalizzato l’illuminazione solo su tracce ritenute pericolose per l’accusa, ignorando potenziali impronte rilevanti, e il dispenser non sarebbe stato pulito come sostenuto all’epoca.

Parallelamente agli sviluppi sulla scena del crimine, si procede con le analisi genetiche: la Procura di Pavia ha affidato nuovi accertamenti sul Dna maschile individuato sotto le unghie di Chiara. Quelle tracce, in origine considerate inutilizzabili, ora potrebbero essere comparabili con Sempio; i periti indicano anche la necessità di rivalutare i mozziconi di sigaretta e i capelli repertati ma mai esaminati.

Il fascicolo è dunque pronto alla svolta: l’incidente probatorio previsto a metà giugno sarà l’occasione per analisi approfondite su impronta 10 e 33, per verificare presenza di sangue, e per rivedere ciascun reperto alla luce delle più aggiornate tecnologie forensi.

A diciotto anni dal delitto, l’indagine sta tornando sui passi iniziali con una prospettiva mutata: il possibile coinvolgimento di più persone, un Dna nascosto, impronte femminili e omissioni tecniche ora al vaglio della scienza giudiziaria. La difesa di Stasi, che ha sempre proclamato la sua innocenza, spera che quei frammenti dimenticati riescano a dissolvere dubbi e ad accendere una luce nuova su una tragica vicenda che continua a interrogare l’opinione pubblica e la comunità di Garlasco.

Nei prossimi mesi, il responso degli esami forensi sarà decisivo per stabilire se le tracce conservate con cura nei laboratori possano davvero rivelare una verità diversa.

 

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