L'approfondimento
Acquisto di sonniferi in farmacia
Nel cuore della notte, le luci delle città non si spengono. Ma non è solo l’inquinamento luminoso a tenerci svegli. A restare accese, oggi più che mai, sono anche le menti di milioni di giovani adulti che faticano a dormire, vittime di una crisi del sonno che nel 2025 ha assunto proporzioni preoccupanti. Si chiama insonnia, ma è solo la punta dell’iceberg di un malessere diffuso, silenzioso e sempre più precoce.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, un italiano su tre sotto i 35 anni dorme meno di sei ore a notte. Il fenomeno ha una portata globale e tocca trasversalmente studenti universitari, lavoratori precari, creator digitali, giovani professionisti. Ma cosa sta davvero succedendo?
Le cause sono molteplici e spesso intrecciate. Da un lato, la tecnologia che ci accompagna fino all’ultimo minuto prima di chiudere gli occhi: smartphone, notifiche, scroll infiniti, algoritmi che ci spingono a restare svegli. Dall’altro, la pressione sociale e lavorativa, che non conosce pause. Lavoriamo tardi, studiamo fino a notte fonda, viviamo con la sensazione costante di essere in ritardo, di dover sempre fare qualcosa di più. Dormire, in questo contesto, è diventato un lusso. O peggio: un senso di colpa.
Il fenomeno ha persino un nome: revenge bedtime procrastination, ovvero la tendenza a sacrificare ore di sonno per ritagliarsi un momento di libertà, scrollando video su TikTok o perdendosi nelle serie TV. Una forma di “ribellione passiva” contro giornate percepite come piene di doveri e prive di piacere.
Ma le conseguenze non sono affatto leggere. Gli esperti parlano di un’epidemia di stanchezza cronica, ansia mattutina, difficoltà cognitive, sbalzi emotivi. Il sonno non è un dettaglio: è il pilastro invisibile della salute mentale. Quando si rompe, tutto vacilla.
Alcuni giovani cercano rifugio in integratori, app per il sonno, meditazioni guidate. Altri si rivolgono a specialisti del sonno o ricorrono, sempre più spesso, a sonniferi. Ma la verità è che dormire bene è diventato un atto rivoluzionario. Una scelta radicale, quasi politica, in un’epoca che premia chi è sempre connesso, sempre produttivo, sempre disponibile.
Nel frattempo, startup, università e centri di ricerca lavorano per offrire soluzioni nuove: dalla progettazione di luci circadiane per le case del futuro alla sperimentazione di intelligenze artificiali in grado di riconoscere i segnali precoci della deprivazione del sonno. Ma forse il primo passo è culturale: smettere di glorificare l’insonnia come simbolo di dedizione o creatività e tornare a vedere nel sonno ciò che è sempre stato — una necessità biologica, un atto d’amore verso se stessi.
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