Il personaggio
Ugo Tognazzi
Dietro il volto noto di attore e comico, Ugo Tognazzi custodiva una dimensione meno conosciuta ma altrettanto intensa: quella del cuoco appassionato, del provocatore gastronomico e del padrone di casa di cene fuori dal comune, che sembravano veri e propri spettacoli. La cucina per Tognazzi non era solo un hobby, né un passatempo di poco conto: era un’estensione del suo modo di vivere e di pensare, un altro palcoscenico su cui esprimere ironia, fantasia e intelligenza.
Nella sua villa di Velletri, a pochi chilometri da Roma, Tognazzi creò un microcosmo unico fatto di tavolate interminabili, ospiti scelti e piatti che sfidavano ogni logica culinaria tradizionale. Non si trattava di semplici cene: erano eventi teatrali, performance in cui la cucina diventava un linguaggio fatto di contrasti, esagerazioni, e qualche volta assurdità volutamente calcolata. Da questa vena giocosa e quasi anarchica nacque il “Club dei Buontemponi”, una finta setta gastronomica dove la regola principale era abbandonarsi al piacere dell’eccesso e dell’inatteso. Tra i membri si trovavano intellettuali, attori, registi, amici legati da una passione condivisa non solo per il cibo, ma per il gusto dell’ironia e del surreale.
Le ricette di Tognazzi erano spesso estreme, immaginifiche, a volte quasi impossibili da pronunciare o da replicare senza un pizzico di follia. Questa sua creatività fuori dagli schemi culminò nella pubblicazione di L’Abbuffone, un libro che non è solo un ricettario, ma un vero e proprio atto teatrale sulla cucina. In quelle pagine, Tognazzi raccontava con lo stesso spirito e la stessa verve di un attore, trasformando ogni piatto in una piccola storia, un personaggio, un invito all’esperienza più che una semplice istruzione.
Al suo fianco, fin dall’infanzia, c’era Ricky Tognazzi, suo figlio maggiore, che ha ereditato non solo il talento artistico, ma anche la complessità di un rapporto intenso con un padre così ingombrante e poliedrico. Ricky, oggi regista e attore stimato, ha spesso raccontato quanto fosse difficile convivere con l’ombra di Ugo, ma anche quanto fosse preziosa la libertà e la fantasia che suo padre gli aveva trasmesso. Dopo la scomparsa di Ugo nel 1990, Ricky ha portato avanti la sua eredità artistica e umana con opere importanti come Ulivo, La scorta e Canone inverso, e non ha mai smesso di dedicare tempo a mantenere viva la memoria paterna attraverso documentari e tributi pubblici.
Per Ricky, Ugo non è stato solo un genitore, ma un vero modello creativo, un uomo capace di mettere insieme rigore e disordine, istinto e intelligenza, serietà e gioco. Una combinazione che rendeva unica non solo la sua arte, ma anche il suo modo di vivere.
Oggi, a distanza di decenni, Ugo Tognazzi rischia di essere percepito soltanto come un simbolo, un’icona della commedia italiana. Ma chi lo ha conosciuto o lo rivive nei suoi ruoli sa che dietro la maschera c’era un osservatore lucido e profondo del proprio tempo, un uomo che capiva le contraddizioni dell’Italia e le raccontava con ironia e umanità, senza mai rinunciare a una punta di provocazione. Rivederlo oggi — che sia in Il federale, in La grande abbuffata o in La tragedia di un uomo ridicolo — è come guardarsi in uno specchio antico: riflette una verità ancora viva, e per certi versi, ancora molto nostra.
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