Maremma
Lucio Corsi
Nel panorama della musica contemporanea, spesso dominato da personaggi aggressivi, iper-performanti e costruiti su stereotipi di forza e successo, emerge Lucio Corsi con la sua poetica della fragilità.
Massimo Giannini, giornalista, saggista e conduttore radiofonico italiano, ha scritto di come il cantautore lo abbia piacevolmente sorpreso e di come la sua musica lo abbia portato a riflettere sulla società contemporanea.
Secondo Giannini, l'artista canta la vita di chi non è mai stato un protagonista, di chi non ha la spavalderia del rapper che non deve chiedere mai, né l’aggressività dell’hip hop duro e crudo. La sua musica è un omaggio a chi è stato lasciato indietro, a chi non ha il fisico scolpito, a chi ha incassato schiaffi senza darne, a chi ha sperato, amato e sofferto senza diventare mai un vincente. In un’epoca in cui l’apparenza sembra contare più della sostanza, Corsi racconta senza vittimismo la solitudine di chi non si distingue, di chi non urla, di chi non è un numero primo ma solo uno dei tanti.
Il giornalista suggerisce Volevo essere un duro come testo da insegnare nelle scuole, perché è una canzone che si oppone alla retorica della prevaricazione. In un tempo in cui i bulli si sentono padroni dei corridoi scolastici e i social amplificano la violenza verbale e psicologica, questa canzone è un inno alla normalità e al valore dell’essere semplicemente sé stessi. Ascoltare e far ascoltare il brano del cantautore maremmano potrebbe essere un modo per riflettere sulla cultura dell’odio e della sopraffazione che troppo spesso caratterizza la società.
Per Giannini, ai nostri giorni, la canzone di Lucio Corsi potrebbe essere definita la ballata dello sfigato. Ma non c’è nulla di denigratorio, anzi: è l’apologia del perdente, non la sua condanna. È il riconoscimento del valore dell’imperfezione, dell’umanità più autentica, lontana da modelli irraggiungibili e pericolosi.
Alla fine, tutti noi non siamo altro che Lucio. E forse faremmo bene a ricordarcelo più spesso.
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