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Il personaggio

Alberto Sordi, orgoglio italiano: carriera, vita e curiosità del grande attore. Il funerale con 250mila persone

Giovanni Ramiri

04 Settembre 2025, 20:06

Alberto Sordi, orgoglio italiano: carriera, vita e curiosità del grande attore. Il funerale con 250mila persone

Alberto Sordi

Questa sera in televisione torna “Il Marchese del Grillo”, una delle interpretazioni più amate di Alberto Sordi, forse la più emblematica del suo talento capace di oscillare tra la risata liberatoria e l’amarezza della satira sociale. È un’occasione per ricordare la vita e la carriera di un attore che ha incarnato come pochi l’anima italiana, consegnandoci personaggi entrati per sempre nella memoria collettiva.

Sordi nacque a Roma, il 15 giugno 1920, in una famiglia modesta ma fortemente legata alla cultura. Suo padre era musicista nell’orchestra dell’Opera, sua madre insegnava alle elementari. Cresciuto tra le strade popolari della capitale, respirò fin da piccolo quel miscuglio di umanità, ironia e disincanto che sarebbe diventato la materia prima della sua comicità. Giovanissimo entrò nel coro della Cappella Sistina, ma venne escluso quando la voce mutò. Quella ferita divenne un punto di partenza: la sua determinazione a trovare una strada nello spettacolo non si fermò più.

Il doppiaggio fu la prima palestra. Nel 1936 vinse un concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer e divenne la voce ufficiale di Oliver Hardy, regalando all’Italia un “Ollio” dalla cadenza romanesca che fece epoca. La radio e il varietà gli offrirono poi la possibilità di mettere in scena personaggi buffi e malinconici, figure che anticipavano già i grandi ritratti dell’italiano medio che lo avrebbero reso immortale.

Il cinema lo consacrò negli anni Cinquanta. Dopo ruoli da spalla, fu Federico Fellini a intuirne la grandezza e a offrirgli parti di rilievo in Lo sceicco bianco e ne I vitelloni. Poi arrivò Un americano a Roma, con il mitico Nando Mericoni che sognava hamburger e Coca-Cola per poi arrendersi, davanti a un piatto di spaghetti, alla sua romanità invincibile. Quella scena, con lo sguardo rapace e il piatto divorato con rabbia, è ancora oggi uno dei momenti più celebri del nostro cinema.

Da lì in poi Sordi divenne il mattatore assoluto della commedia all’italiana, un genere che più di ogni altro raccontò il Paese in trasformazione. Nei suoi film interpretò l’opportunista, l’arrivista, il borghese pavido, il soldato cialtrone, il prete ambiguo, il nobile decaduto. Non erano solo macchiette, ma ritratti precisi, capaci di mostrare al pubblico i propri difetti con un sorriso amaro. Sordi non si limitava a far ridere: educava, graffiava, specchiava l’Italia nelle sue contraddizioni.

La sua carriera durò oltre mezzo secolo. Recitò in più di centocinquanta film, molti dei quali diretti da lui stesso. Lavorò con registi come Monicelli, Risi, Comencini, Zampa, e fu spesso autore delle sue stesse sceneggiature. Non era solo un attore comico: nei ruoli drammatici sapeva essere intenso, perfino spietato. In opere come Detenuto in attesa di giudizio o Un borghese piccolo piccolo, la sua comicità lasciava spazio alla disperazione e al dolore, dimostrando una versatilità che pochi gli hanno mai riconosciuto fino in fondo.

Sordi fu premiato con i più importanti riconoscimenti, dai Nastri d’Argento ai David di Donatello, fino al Leone d’Oro alla carriera a Venezia. Ma il premio più grande fu l’amore del pubblico, che lo considerava uno di famiglia. Roma, in particolare, lo adottò come simbolo vivente della sua identità: era “Albertone”, il fratello maggiore che sapeva sempre trovare la battuta giusta, anche quando la battuta era amara.

La vita privata di Sordi fu sobria e appartata. Non si sposò mai, visse a lungo con le sorelle nella grande villa vicino alle Terme di Caracalla. Attorno a lui circolava la fama di uomo parsimonioso, persino avaro, ma chi lo frequentava sapeva che dietro quel rigore c’era un bisogno di protezione, un carattere prudente che non amava sprechi né eccessi. Amava profondamente Roma, che percorreva in auto, osservando la gente, cogliendo tic e abitudini che poi riportava nei suoi film.

Gli ultimi anni furono segnati dalla malattia. Nel 2001 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni, e progressivamente ridusse le sue apparizioni pubbliche. Continuò però a essere presente, anche solo attraverso collegamenti televisivi o brevi messaggi registrati. Morì nella notte tra il 24 e il 25 febbraio 2003, nella sua casa romana. Il suo funerale, celebrato nella basilica di San Giovanni in Laterano, fu seguito da una folla immensa, oltre duecentocinquantamila persone scesero in piazza per dargli l’ultimo saluto. Roma lo pianse come si piange un parente stretto, un uomo che aveva saputo raccontare i suoi pregi e i suoi difetti senza mai giudicarli dall’alto.

Il Marchese del Grillo, il film che stasera torna in televisione, è forse il simbolo più puro della sua arte. In quel personaggio aristocratico e scanzonato, capace di beffarsi del potere con la battuta “Io so’ io e voi nun siete niente”, Sordi racchiuse secoli di romanità e un intero modo di guardare al mondo. Un’ironia nobile e plebea al tempo stesso, che faceva ridere ma lasciava anche un retrogusto di amarezza. Proprio come la sua carriera: una lunga commedia italiana in cui la risata si intrecciava sempre con la riflessione.

Oggi, rivedendolo sullo schermo, si capisce quanto fosse unico. Alberto Sordi non fu soltanto un grande attore, fu un interprete dell’Italia stessa, uno specchio in cui il Paese si è riflesso per cinquant’anni, riconoscendo in lui i propri difetti e le proprie virtù. La sua eredità non è fatta solo di battute, ma di verità. Verità dette ridendo, che restano scolpite molto più di qualsiasi discorso solenne.

Folla ai funerali di Alberto Sordi

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