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Rifkin’s Festival va in onda questa sera, martedì 26 agosto, in prima serata su Rai 3 alle 21:25. La pellicola, firmata da Woody Allen nel 2020, giunge sul piccolo schermo italiano con l’eleganza discreta di chi sa evocare mondi senza dover gridare, trasportando lo spettatore in un festival che è più di una cornice: è un pretesto per esplorare la nostalgia, l’inquietudine e il desiderio di riscoperta.
La storia segue Mort Rifkin, un anziano e raffinato professorino di cinema, in pensione ma ancora ossessionato da un progetto letterario che non riesce a finire. Accetta, con una punta d’ironia malinconica, di accompagnare sua moglie Sue – brillante press agent alle prese con la promozione di un giovane e stimato regista francese – al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián. Quel che comincia come un gesto coniugale assume presto i contorni di un piccolo disastro emotivo: Sue si lascia sedurre dall’aura del regista, mentre Mort, preso da un attacco di ipocondria e da un’improvvisa attrazione per una brillante dottoressa locale, scopre quanto il cuore possa ancora sorprendere, anche nella sua età più apparentemente immobile.
Il film si regge su una tessitura sottile di stati d’animo: l’umorismo, la poesia, la malinconia si alternano come luce e ombra, tessendo una riflessione sul tempo che passa, sul cinema come luogo sacro della memoria e su quel sentimento di disincanto che, paradossalmente, può aprire la porta a una rinnovata passione per l’esistenza. Lungo queste strade sentimentali, Mort ritrova se stesso non tanto nell’orgoglio dell’insegnante di un tempo, quanto nella fragilità di chi non ha più nulla da dimostrare, se non a se stesso.
Il cast porta in scena una serie di interpretazioni raffinate e mai schematiche. Wallace Shawn veste Mort Rifkin con un’ironia sommessa e una vulnerabilità da intellettuale antico stile. Gina Gershon è Sue, capace di apparire brillante e insofferente nello stesso respiro, lacerata tra lavoro e desiderio. Louis Garrel incarna il regista affascinante e ambiguo che diventa il catalizzatore dei turbamenti coniugali, mentre Elena Anaya, nel ruolo della dottoressa Jo, apporta al film una delicatezza d’altri tempi, un quid di possibilità riemersa. Attorno a loro, figure miste tra il reale e il simbolico completano questo microcosmo festivaliero: c’è chi guarda, chi viene guardato e chi – come la città stessa – sembra partecipe a una recita esistenziale che parla di amore, arte e rinascita.
Rifkin’s Festival non è una commedia europea spensierata, né una commedia americana superficiale: è un film che parla piano, di sentimenti antichi e nuovi, di rivolgimenti interiori e di cinema come testimonianza del tempo che scorre. Questa sera, tra le proiezioni, i cocktail e i flirti sotto i riflettori, si nasconde una storia intima e universale: la riscossa di un uomo che, sentendo il cuore traballare, trova la forza di ricominciare a sentire.
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