IL CASO
Due uomini sono stati arrestati nel quadro delle indagini sul clamoroso furto al museo del Louvre di Parigi del 19 ottobre scorso. Si tratta di due persone originarie della regione della Seine-Saint-Denis, una banlieue a nord di Parigi, già noti alle Forze dell’ordine per precedenti legati a furti e altri reati. L’operazione di polizia si è svolta nella serata del 25 ottobre: uno dei due è stato intercettato all’aeroporto parigino Roissy-Charles de Gaulle mentre cercava di fuggire in Algeria, mentre il complice è stato bloccato nella regione di Parigi subito dopo.
I due pregiudicati sono specializzati in furti e colpi su commissione nella zona parigina. Entrambi erano entrati nel radar degli investigatori come “esecutori esperti”, coinvolti in bande criminali organizzate, abituate a pianificare rapine complesse e dotati di precedenti penali. La loro identificazione è stata agevolata dalle tracce lasciate sul luogo del reato: impronte digitali, dna prelevato dagli strumenti e dal gilet abbandonato, testimonianze video e immagini di sorveglianza raccolte lungo il percorso di fuga. Gli arrestati sono accusati di furto aggravato e associazione a delinquere, con la custodia cautelare che potrà durare fino a 96 ore mentre proseguono gli interrogatori per individuare gli altri due membri della banda e la possibile rete di mandanti.

L’arresto all’aeroporto è stato il frutto di un pedinamento durato diversi giorni da parte delle Forze dell’ordine, che hanno monitorato i movimenti dei sospetti nel tentativo di recuperare la refurtiva prima che venisse trasferita fuori dalla Francia. In seguito al colpo, il resto della collezione di gioielli della Corona francese è stata trasferita dal Louvre alla Banque de France, sotto massima protezione della polizia. Prosegue l’inchiesta internazionale che mira a recuperare i gioielli rubati e smantellare eventuali reti di ricettatori o mandanti dietro il colpo.
La "rapina del secolo" alla Galleria d’Apollo del Louvre risale alla mattina di domenica 19 ottobre, quando quattro uomini hanno portato via gioielli storici della Corona francese dal valore stimato di 88 milioni di euro. La banda, composta da ladri considerati “molto professionali” dalle Forze dell’ordine, ha studiato ogni fase del furto nei minimi dettagli: hanno utilizzato una piattaforma elevatrice rubata qualche giorno prima per accedere a un balcone sul lato Senna, tagliando i vetri della finestra con smerigliatrici ed elettroutensili. In due sono entrati nel museo travestiti da operai, indossando gilet gialli, minacciando le guardie e sfruttando l’assenza di telecamere di sorveglianza proprio sul lato da cui sono penetrati. In meno di sette minuti, i ladri hanno rubato nove gioielli custoditi in due teche, lasciando dietro indizi come walkie-talkie, una coperta, strumenti da lavoro e uno dei gilet gialli, poi ritrovato abbandonato sul Ponte di Sully. La fuga è stata immortalata in diversi video diffusi sui social: i ladri sono scappati a bordo di due scooter Tmax e hanno fatto perdere le proprie tracce in pochi istanti. L’unico oggetto recuperato nell’immediato è stata la “Corona di Eugénie”, danneggiata durante la fuga.

Fin dai primi istanti, la Brigata di repressione del banditismo e l’Ufficio centrale di lotta contro il traffico di beni culturali hanno avviato una maxi-indagine con oltre 100 inquirenti mobilitati, al lavoro sugli indizi lasciati sul luogo: le tracce di dna sul gilet giallo, le impronte sul montacarichi e sugli utensili da lavoro, le testimonianze video dei movimenti della banda e il fatto che la piattaforma utilizzata fosse stata rubata pochi giorni prima nella banlieue parigina, con denuncia sporta dal proprietario.
In breve tempo la Polizia è riuscita a identificare alcuni sospetti e ricostruire la rete di contatti che ha permesso il furto. Le indagini hanno seguito anche ipotesi sul coinvolgimento di bande specializzate nel traffico di opere d’arte, come le “Pink Panthers”, famose per colpi spettacolari. Non sono mancate, intanto, voci e teorie false sui social, tanto che il ministero della Cultura ha avviato un servizio interno di fact-checking. E la presidente-direttrice del museo, Laurence des Cars, è stata chiamata a spiegare la vicenda davanti alla commissione Cultura del Senato francese.
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