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L'omicidio di Chiara Poggi

Delitto di Garlasco, il giudice che assolse Stasi: "C'erano sacche di ragionevole dubbio. Criticità istruttorie non possono danneggiare imputato"

A Quarto Grado intervista a Stefano Vitelli: "Bizzarra la dichiarazione di Sempio, ma non dovevo giudicare lui"

Giovanni Ramiri

11 Ottobre 2025, 18:44

Delitto di Garlasco, il giudice che assolse Stasi: "C'erano sacche di ragionevole dubbio. Criticità istruttorie non possono danneggiare imputato"

Il giudice Vitelli all'epoca del processo a Stasi (nel riquadro)

Era ragionevole dubitare che fosse lui il responsabile dell’omicidio Chiara Poggi, la vecchia insufficienza di prove”. Il giudice Stefano Vitelli, il magistrato che assolse Alberto Stasi, a Quarto Grado è tornato a ribadire il suo punto di vista sulle indagini per il delitto di Garlasco e la ricerca del colpevole per l’omicidio di Chiara Poggi.

Stefano Vitelli oggi


Non mi pronuncio su indagini in corso, peraltro gli inquirenti sono molto scrupolosi nel rispettare e far rispettare il segreto istruttorio – afferma Vitelli -  Quindi noi sappiamo molto poco delle indagini in corso, sia nei confronti del nuovo indagato sempre sull'omicidio, sia nei confronti di questa questione collaterale di eventuali corruzioni. Posso dirle che il mio abbreviato è stato paradossalmente molto lungo. L'abbreviato normalmente è un giudizio allo stato degli atti. Io invece in diverse udienze ho disposto diverse perizie e anche diverse testimonianze”.

Alberto Stasi


Qual era la prova meno insufficiente?”, chiede il conduttore Gianluigi Nuzzi. “Allora – risponde Vitelli - lì c'erano tutta una serie di criticità che riguardavano il compendio probatorio. La più clamorosa era quella dell'alibi informatico. Lì c'era proprio un'incertezza sulla genuinità dei dati. Il computer di Stasi aveva una memoria e che nell'estrazione dei dati, diciamo, per semplificare, venne alterato il contenuto stesso e quindi un giudice deve avere una prova certa per giudicare, invece qui non si non si sapeva quanto fosse genuinas la ricostruzione. Era centrale, perché Stasi disse fin dall'inizio aveva detto"Io ho lavorato alla cosa hai fatto quella mattina? Ho lavorato alla tesi. Alla mia tesi. A casa”. Inizialmente sembrava che non fosse vero, con molto ritardo, cioè in primo grado, non all'inizio delle indagini, come dovrebbe accadere nella fisiologia di un'investigazione dove l'alibi verificarlo, falsificarlo rappresenta uno dei primi fondamentali passaggi, con molto ritardo abbiamo constatato, verificato, accertato che Stasi aveva detto il vero. Quindi non solo non aveva detto una falsità, ma poneva, nel momento in cui si accertava che lui è stato a casa nel cuore della mattinata, poneva un problema di tempistiche mica da poco. Perché rimaneva una finestra temporale di 23 minuti dalla disattivazione dell'allarme di Chiara Poggi a quando lui preme il pulsante, quindi lo sappiamo con certezza che è a casa sua, 9:35. 23 minuti non sono abbastanza pochi per una dinamica omicidiaria che non si è risolta, questo è un fatto notorio in un colpo di pistola”.

Gianluigi Nuzzi


Pongono – riflette il magistrato - come ho sempre come ho detto più volte, l'ho scritto anche in sentenza, è una delle sacche in cui si insidia, si annida il ragionevole dubbio. Ce ne sono tante altre. Ma accertare che Stasi non aveva lavorato alla tesi, quello sarebbe stato un gravissimo indizio a suo carico”.

L'intervista completa


Ma perché non avete sequestrato la bici?”, chiede ancora Nuzzi. “Perché si è scelto di sentire il testimone Marchetti che aveva reso delle testimonianze – risponde Vitelli - sulla bici c'era un grosso problema che poi è emblematico, para esemplificativo di questo processo a carico di Stasi. E guardi, è difficile trovarle di questo tipo qui, di questa fattezza, di questa caratteristica. Tu trovi, hai il tassello, ce n'hai uno vicino, dici "Va bene, si incastrano" e invece no. Quindi lì avevamo il problema del riccamente cellulato su almeno uno dei due pedali anche se poi c'erano dei problemi tecnici, ma non li sto a dire qui, ma non avevamo e ti aspetti che la testimone che vede la bicicletta, vede una bicicletta appoggiata, la mamma della vicina di casa fosse compatibile, forse corrispondente alla, almeno a livello di macro descrizione, di macro tipologia a quella di Stasi”.

 


Pensi, io nel fare questo processo ho incontrato, ho letto tantissime carte, ho incontrato tantissimi nomi – aggiunge il giudice - Il nome di Sempio è mi è rimasto impresso. Per il no, perché nonostante fosse una sit di cinque righe c'era questa cosa bizzarra. Questa cosa bizzarra dove lui diceva "Guardate, se volete chiedermi dov'ero, ero in una libreria a Vigevano, ho lo scontrino". Ma il giudice non giudica né terze persone, ma non giudica nemmeno le indagini. E al giudice interessa l'ipotesi accusatoria. Se ci sono dei problemi nelle indagini semmai ricadono sul nostro problema, che è quello di giudicare oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell'imputato. Il processo di Garlasco, oltre a essere davvero difficile, aveva questa ulteriore peculiarità: le criticità istruttorie. Quelle criticità istruttorie non possono andare a danno dell'imputato se non vengono risolte”.

Andrea Sempio

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