L'approfondimento
Audi contro Lancia: storia di una rivalità
Lo scontro tra Audi e Lancia rappresenta una delle più affascinanti rivalità della storia dell’automobilismo sportivo europeo. Un confronto che va ben oltre i confini delle piste e dei circuiti, perché si è trasformato in una vera e propria sfida di filosofia costruttiva, di orgoglio tecnico e di identità nazionale. Da un lato l’austera solidità tedesca della casa di Ingolstadt, basata su innovazione tecnologica e robustezza meccanica, dall’altro l’eleganza italiana mescolata alla genialità ingegneristica del marchio torinese, capace di far convivere estetica e prestazioni con un tocco di creatività tipicamente latina.
Il teatro principale di questa rivalità è stato senza dubbio il mondo dei rally, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, quando l’automobilismo su strada era il palcoscenico più seguito e spettacolare delle competizioni motoristiche. L’arrivo dell’Audi Quattro all’inizio degli anni Ottanta rivoluzionò il concetto stesso di auto da corsa con la trazione integrale permanente. Una soluzione innovativa che diede alla casa tedesca un vantaggio enorme nelle condizioni più difficili, come sterrati bagnati, neve e ghiaccio. La scuderia Audi, guidata da piloti come Hannu Mikkola, Michèle Mouton e Stig Blomqvist, mostrò una superiorità tecnica impressionante, che costrinse l’intero panorama dei rally a ripensare radicalmente il modo di costruire e progettare le vetture.
La risposta di Lancia non si fece attendere. Il marchio italiano aveva già costruito la sua leggenda rallistica con la Lancia Stratos, prima vettura concepita interamente per la disciplina, con un design firmato Bertone e un motore Ferrari V6 che le permise di dominare la scena mondiale a metà degli anni Settanta. Con l’arrivo dell’Audi Quattro, però, la sfida si spostò su un nuovo piano. La Lancia, sotto la guida del reparto corse diretto da Cesare Fiorio, diede vita a una delle macchine leggendarie del Gruppo B: la Delta S4, che abbinava compressore volumetrico e turbocompressore e rappresentava il massimo della sperimentazione tecnica. Quell’auto, celebre e drammatica, entrò nella mitologia sportiva, simbolo della sfida estrema che definì quell’epoca.
Ma fu con la Lancia Delta Integrale che la casa italiana riuscì a scrivere la pagina più gloriosa della sua storia e a rispondere definitivamente all’innovazione tedesca. Introdotta a fine anni Ottanta, l’integrale riprese il concetto di trazione totale della Audi, ma lo adattò in chiave più compatta, agile ed efficace per la disciplina dei rally. La Delta, guidata da fuoriclasse come Juha Kankkunen e Miki Biasion, non solo rivaleggiò con le vetture tedesche, ma dominò il palcoscenico: sei titoli costruttori consecutivi (1987–1992), un record ancora imbattuto. Quella striscia di vittorie divenne il marchio identitario di Lancia e contribuì a cementare la percezione di supremazia tecnica italiana in un settore che sembrava ormai destinato ad essere monopolizzato dalla potenza germanica.
Lo scontro tra Audi e Lancia non fu semplicemente uno scontro di marchi, ma uno scontro di culture. La filosofia tedesca era basata sul rigore, sull’affidabilità e sulla tecnologia avanzata. Audi con il sistema Quattro inaugurò un’epoca in cui la trazione integrale divenne sinonimo di sicurezza e stabilità, tanto da influenzare tutta la produzione stradale degli anni successivi. Lancia, invece, puntava sulla genialità progettuale, sull’armonia tra estetica e prestazioni, unendo creatività e capacità di adattamento a condizioni sempre differenti. Era l’Italia che trovava nella leggerezza, nell’agilità e nella capacità di reinventarsi la sua arma vincente contro la precisione quasi scientifica dei rivali tedeschi.
Negli anni Novanta, con il ritiro ufficiale di Lancia dai rally e con la centralità crescente della Formula 1 nel panorama automobilistico, questa rivalità perse parte della sua risonanza diretta nelle competizioni. Tuttavia il retaggio rimase fortissimo. Audi continuò il proprio percorso tecnologico, diventando un simbolo di innovazione con vetture come la Audi R8 e con i successi nelle gare di durata come la 24 Ore di Le Mans. Lancia invece, pur ritirandosi progressivamente dalle griglie sportive, mantenne nell’immaginario collettivo il ruolo di marchio eroico, capace di scrivere una leggenda irripetibile.
Oggi lo scontro Audi contro Lancia rappresenta una pagina irripetibile della storia dei motori. È la memoria di un’epoca in cui due filosofie agli antipodi riuscirono a incontrarsi nello stesso terreno per creare una delle sfide più epiche dello sport. Audi è sopravvissuta come marchio premium globale, modello di tecnologia e innovazione, mentre Lancia vive più attraverso i ricordi e il mito che attraverso la produzione attuale. Eppure, per chiunque conosca la storia delle corse, i colori Martini Racing sulla Delta Integrale e il logo Quattro sulle carrozzerie tedesche restano simboli immortali di una rivalità che ha reso indimenticabili gli anni d’oro dei rally e ha influenzato profondamente l’immagine stessa dell’automobile europea.
Il Mondiale Rally 1983 costituisce una delle pagine più appassionanti e iconiche della storia dello sport automobilistico e rappresenta, in modo emblematico, lo scontro epocale tra Audi e Lancia. Quell’anno è ricordato infatti come il terreno di battaglia in cui la corazzata tedesca guidata dall’innovativa Audi Quattro, con la sua rivoluzionaria trazione integrale permanente, fu messa seriamente in discussione da una sfidante apparentemente meno tecnologica ma altrettanto temibile: la Lancia 037, con la sua trazione posteriore.
Prima del 1983, Audi aveva già dominato il campionato del mondo rally. Nel 1982 la casa dei Quattro Anelli si era imposta nettamente grazie alla superiore tecnologia della sua trazione integrale, che le garantiva un vantaggio netto su qualsiasi avversario, soprattutto su fondi scivolosi o misti come quelli classici dei rally. L’Audi Quattro montava un potente motore 5 cilindri turbo e sfruttava una meccanica robusta che le consentiva un dominio quasi incontrastato. Per molti esperti, quel campionato del mondo sembrava già scritto nei favori tedeschi, con Audi che partiva da netta favorita per il 1983.
Cesare Fiorio
Tuttavia, la Lancia, sotto la guida di Cesare Fiorio, dimostrò una tempra e una determinazione fuori dal comune. Costretto a competere con una vettura a due ruote motrici — quindi apparentemente svantaggiata rispetto all’Audi — impose una strategia in cui l’agilità, la leggerezza e la precisione potevano fare la differenza. La Lancia 037, progettata come una macchina leggera e snelle, giocava proprio su queste caratteristiche: con un motore sovralimentato a 4 cilindri e un compressore volumetrico, poteva contare su circa 310 cavalli, meno della potenza dell’Audi ma con un peso più contenuto di quasi 150 kg. Questa differenza conferiva una maneggevolezza straordinaria, che risultò decisiva in molte prove speciali.
La stagione si aprì con un’Audi che sembrava voler replicare e rinforzare il dominio già acquisito, portando una versione aggiornata della Quattro con miglioramenti tecnici e un motore più potente. Ma Lancia, attraverso l’efficienza organizzativa di Fiorio e la determinazione del suo team, non si fece intimorire. Walter Röhrl, pilota di punta di Lancia, capì che la lotta sarebbe stata dura, e decise di affrontarla con grande impegno anche selezionando bene le gare a cui partecipare. La strategia di Lancia prevedeva di capitalizzare i punti forti della 037, in particolare su gare asfaltate o su terreni dove il vantaggio della trazione integrale si riduceva drasticamente.
Il Campionato Mondiale Rally 1983 si trasformò così in una corsa ad alto tasso di adrenalina e competizione, con Audi che spesso sbalordiva per la superiorità tecnica e Lancia che incalzava sfruttando l’abilità di guida dei suoi piloti e una strategia raffinata. Ci furono tappe intense come il Rally di Portogallo e il Rally di Sanremo in Italia, dove Lancia dimostrò di poter sfidare la supremazia tedesca ribaltando più volte le gerarchie provvisorie. Nonostante la mancanza della trazione integrale, la 037 era in grado di essere un’avversaria credibile, facendo soffrire molto Audi soprattutto su fondi più tecnici o meno scivolosi.
Al culmine della stagione, la rivalità si trasformò in una vera e propria battaglia psicologica. Audi, consapevole di trovarsi di fronte a un avversario ostico, fu costretta a spingere al massimo dei limiti la propria vettura e i suoi piloti, mentre Lancia consolava i propri tifosi con prestazioni sempre più convincenti. Fu un Mondiale rally combattuto all’ultimo chilometro, con episodi di grande tensione e colpi di scena, segnato da un equilibrismo tecnico e umano che ancora oggi viene ricordato come un’autentica epopea sportiva.
L’importanza di quell’annata non fu solo sportiva ma anche culturale. Il conflitto tra l’alta tecnologia tedesca e la creatività italiana, rappresentata da due filosofie di engineering profondamente differenti ma ugualmente di successo, assunse una valenza simbolica più ampia. Audi portava la trazione integrale nel massimo campionato mondiale, rivoluzionando l’approccio alle competizioni su strada, mentre Lancia faceva leva su intelligenza ingegneristica, leggerezza e tattica nel cercare di colmare il gap tecnico.
Il Mondiale Rally 1983 si chiuse con Audi che si aggiudicò ancora una volta il titolo costruttori, ma la lotta con Lancia rimase uno degli episodi più epici e emozionanti della storia del rally. La stagione, oggi immortalata anche nel film “Race for Glory – Audi vs Lancia”, è un monumento alla passione dei rally, alla capacità di innovazione e alla sfida tra due colossi capaci di forgiare un’epoca intera di storia motoristica. Da quel momento, la trazione integrale entrò definitivamente nel DNA delle vetture da competizione e di serie, e Lancia continuò a mantenere vivo il mito dei rally fino alla sua definitiva consacrazione con la Delta Integrale negli anni successivi.
È in questo contesto di grandi sfide che si definì lo storico scontro tra Audi e Lancia. Un confronto che, pur avendo segnato una stagione, ha lasciato un’eredità indelebile negli annali dell’automobilismo, arricchendo la leggenda di entrambi i marchi con un dualismo che ha esaltato la tecnica, il coraggio e la passione degli anni d’oro del rally sport.
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