L'incidente
La coda del volo Air India AI171
Il 12 giugno 2025 il volo Air India AI171, un Boeing 787 Dreamliner diretto da Ahmedabad a Londra, si è trasformato in un inferno pochi istanti dopo il decollo. L’aereo, con a bordo 230 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio, è precipitato su una zona residenziale colpendo uno studentato medico. Le vittime sono state 241, più almeno 38 a terra. Solo una persona è sopravvissuta. Eppure, nonostante il disastro, sette storie emergono come frammenti di grazia in un contesto di devastazione: sette persone che per una serie di coincidenze non sono mai salite a bordo.
Tra loro c’era Bhoomi Chauhan, una studentessa britannica di 28 anni, che sarebbe dovuta tornare a Londra per riprendere i suoi studi. Era tutto pronto: i bagagli fatti, il posto assegnato, il check-in completato. Ma un ingorgo nel traffico e un problema improvviso al controllo documenti l’hanno bloccata, impedendole di arrivare in tempo all’imbarco. In preda allo sconforto, si è vista negare l’accesso al volo. Pochi minuti dopo, l’aereo su cui avrebbe dovuto trovarsi si è schiantato. Quando ha appreso la notizia, Bhoomi ha capito che quello che le era parso un contrattempo fastidioso si era rivelato, in realtà, un’incredibile salvezza.
Anche Yaman Vyas, giovane professionista originario del Gujarat, aveva acquistato il biglietto per quel volo. Il giorno prima della partenza, però, sua madre, preoccupata e tormentata da un brutto presentimento, gli aveva chiesto con insistenza di non partire. Vyas, esitante, ha infine deciso di accontentarla. È rimasto a casa, rinunciando al viaggio. Solo dopo l’incidente ha compreso la portata di quella scelta, spinta più da un sentimento familiare che da una logica.
Jaimin Patel e sua moglie Priya erano invece già all’aeroporto quando si sono imbattuti in un problema con i loro visti. Un’irregolarità nella documentazione ha fatto sì che venissero bloccati al controllo. Nonostante le insistenze, le autorità non hanno permesso loro di salire. Imprecavano contro la burocrazia, senza sapere che di lì a poco quella stessa burocrazia li avrebbe salvati.
Una storia ancora diversa è quella di Savji Timbadia, un uomo d’affari che avrebbe dovuto salire sul volo ma che, la mattina stessa, ha avvertito un’insolita ansia. Non era paura di volare, né un malessere fisico: era qualcosa di più profondo, un senso oscuro di disagio. Spinto da quell’intuizione, ha deciso di rimandare la partenza. Dopo l'incidente, ha dichiarato di aver ascoltato “una voce interiore” che gli ha indicato di non partire quel giorno.
Jayesh Thakkar, invece, era atteso a bordo ma un impegno imprevisto legato al suo lavoro lo ha costretto a trattenersi un giorno in più a Calcutta. Una scelta dettata da responsabilità professionali, ma che, inconsapevolmente, lo ha strappato alla lista delle vittime.
Infine, Ravji Patel, che aveva inizialmente programmato il ritorno a Londra proprio su quel volo, ha deciso di prolungare di un giorno il soggiorno in India per sistemare alcune questioni familiari con suo genero. Anche per lui, la decisione è arrivata senza preavviso, dettata più dal cuore che dalla logica. Una scelta semplice, ordinaria, che ha fatto la differenza tra la vita e la morte.
Queste sette persone non si conoscevano, non avevano nulla in comune se non un biglietto per lo stesso volo. Eppure le loro vite si sono sfiorate nella casualità della sorte, risparmiate da un ritardo, una voce materna, un contrattempo burocratico o una sensazione inspiegabile. Oggi, il loro racconto rappresenta l’altra faccia di una tragedia che ha lasciato centinaia di famiglie spezzate. Sono le testimonianze di ciò che può accadere quando il destino decide di farsi trovare, per una volta, un attimo più tardi.
In mezzo al dolore e alla devastazione, le loro storie sono un raro filo di speranza, un monito silenzioso sul potere delle coincidenze. O forse, come qualcuno ha suggerito, un esempio di “ritardi divini”.
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