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Il Commissario Montalbano
Mercoledì 26 novembre, alle 21:30 su Rai 1, torna Il Commissario Montalbano con l’episodio Il metodo Catalanotti, e già dal primo minuto si capisce che non sarà una serata come le altre. Non è il classico caso di Vigàta fatto di moventi gelosi o vendette lente a maturare: qui c’è qualcosa che odora di teatro, di passioni esagerate, di quelle verità che fanno più male quando vengono recitate invece che dette davvero.
La vittima si chiama Carmelo Catalanotti. In paese lo conoscevano tutti — chi lo odiava, chi lo temeva, chi giurava che fosse un genio. Di mestiere prestava soldi, ma la sua vera ossessione era il palcoscenico: fondatore della compagnia amatoriale Trinacriarte, era uno di quegli uomini che chiedono tutto, anche troppo, in nome dell’arte. Catalanotti voleva emozioni autentiche, voleva lacrime vere e non finti tremiti di voce, voleva che i suoi attori scavassero dentro se stessi fino a sanguinare. Quello era il suo metodo. Troppo intenso per alcuni, troppo crudele per altri.
Montalbano entra nella sua vita quando ormai è tardi, quando Catalanotti è già un cadavere e tutti sembrano avere un segreto pronto da difendere. E allora parte un’indagine che somiglia più a uno scavo psicologico che a una ricerca di indizi: interrogatori che sembrano sedute teatrali, ricordi che affiorano come battute imparate a memoria, persone che recitano anche quando non ne sono consapevoli. Ogni passo che il commissario compie gli restituisce l’immagine di un uomo brillante, ambiguo, manipolatore, venerato e detestato allo stesso tempo.
Ma la cosa interessante è che stavolta a vacillare è proprio lui, Salvo.
Il commissario che tutti conosciamo — ruvido ma sensibile, innamorato della verità e fedele alle sue regole — si trova improvvisamente scompensato. Una giovane collega gli entra sotto pelle con un’intensità che non aveva previsto, e lui non è pronto. C’è un momento, uno di quei momenti che la fiction non tratta come uno scandalo ma come un fatto umano, in cui Montalbano si accorge che il confine tra la passione e l’errore è più sottile del previsto. E all’improvviso l’indagine sul delitto e quella sul proprio cuore sembrano procedere in parallelo, come se il caso lo stesse mettendo di fronte a se stesso.
Alla fine, quando il quadro di Catalanotti si ricompone, il colpevole non è l’unico mistero risolto. A restare sul tavolo c’è un’altra domanda, molto più difficile: che cosa resta di noi quando togliamo la maschera? Il teatro lo pretendeva dagli attori di Catalanotti, la vita lo pretende da Montalbano. Ed è forse questa la vera bellezza dell’episodio — non tanto capire chi ha premuto il grilletto, ma capire perché.
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