La Corte d'Assise d'Appello di Milano ha ridotto la condanna di Alessia Pifferi a 24 anni di reclusione per l'omicidio volontario aggravato della figlia Diana, la bambina di 18 mesi lasciata morire di stenti nell'estate del 2022 nel quartiere Ponte Lambro. In primo grado la donna era stata condannata all'ergastolo, ma i giudici d'appello hanno riconosciuto le attenuanti generiche, escludendo l'aggravante dei futili motivi e mantenendo soltanto quella legata al vincolo di parentela.

La tragedia del 2022
Secondo l'accusa, Alessia Pifferi aveva abbandonato la piccola per quasi sei giorni nel proprio appartamento, priva di acqua e cibo, mentre si trovava in vacanza con un uomo. La bambina, lasciata sola in piena estate, morì di fame e sete. Un caso che sconvolse l'opinione pubblica e che divenne il simbolo estremo dell'abbandono infantile.
Le perizie psichiatriche hanno confermato che la donna era pienamente capace di intendere e volere al momento dei fatti. La difesa aveva chiesto il riconoscimento di disturbi mentali e la derubricazione del reato, ma la Corte ha stabilito che Pifferi fosse consapevole delle conseguenze delle sue azioni. Pur escludendo la premeditazione, i giudici hanno comunque riconosciuto la gravità della condotta, concedendo però le attenuanti equivalenti alla sola aggravante rimasta.
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Le reazioni alla sentenza
La procuratrice generale Lucilla Tontodonati aveva chiesto la conferma dell'ergastolo, definendo il caso “raccapricciante” e sottolineando la totale assenza di istinto materno e di responsabilità. Di segno opposto la reazione della difesa: l'avvocata Alessia Pontenani ha commentato che “anche i 24 anni di condanna non sono giustificati”. Delusa invece la famiglia di Pifferi — madre e sorella — che, costituite parti civili, si aspettavano la conferma della pena massima.
Gli aspetti giudiziari e il dibattito politico
La Corte ha eliminato la misura di sicurezza della libertà vigilata che Pifferi avrebbe dovuto scontare al termine della pena, mantenendo però l'obbligo di rimborso delle spese legali alle parti civili.
La vicenda continua ad alimentare un ampio dibattito sociale e politico sul tema della responsabilità genitoriale e sulla necessità di potenziare i sistemi di prevenzione e sostegno per famiglie fragili. Il caso della piccola Diana resta una ferita aperta nel Paese, una tragedia che richiama l'urgenza di interventi più efficaci contro l'abbandono e il maltrattamento dei minori.